Era stato sulla luna. Di questo era sicurissimo! Ma poi?
Provava a ricordare com'era stato arrivarci, quand'era cominciata la missione, se fosse stato addestrato.
Niente.
Aveva nozioni di aerodinamica? Chimiche? Mediche? E la preparazione fisica?
Macché! Niente di tutto ciò. Le prime sapeva di non saperle. Per l'ultima gli era bastato guardarsi allo specchio. Non era un astronauta, ecco.
Eppure sulla luna c'era stato. Le geologia non se la ricordava tanto bene, però la supponeva. Aveva il sospetto fosse per ciò che aveva letto in qualche libro di scuola o visto alla tv, dai filmati, quelli che aveva girato Kubrick, per chi non credeva all'allunaggio.
Ma a parte la luna, la luna, la luna... tutto il resto dov'era finito?
Aveva deciso di sforzarsi. Di partire da un giorno indietro. Solo uno. Perciò, se oggi era domenica: sabato! Che diavolo era successo sabato? Si era alzato. Per forza! Poi aveva fatto colazione a casa, no al bar, anzi al Mc Donald's. No, l'aveva saltata. Aspetta, aspetta... era giusto il Mc! Sì, aveva preso un croissant ai frutti di bosco, moscio, sicuro surgelato e riscaldato, e un cappuccino, schiuma di bolle di sapone. Più fine! Schiuma di sapone per piatti quando fai scorrere l'acqua dentro a una pentola sporca che devi disincrostare e finché aspetti la vedi che si forma e ti fa un po' schifo.
Se riusciva a partire, a creare un filo logico, a beccare la traccia senza distrarsi, poteva ricordarsi il resto.
Era andato a pranzo dai suoi, poi il pomeriggio si era bevuto due cose coi compagni delle superiori. Aveva tirato dritto fino a sera. Erano più di due cose, in effetti. E la sera... in qualche modo era tornato, si era messo a letto, e aveva sognato lei. Oppure erano andati davvero a casa sua insieme, lui e lei? La luna... la luna! La luna era lei, lei era la luna, e il mattino dopo, cioè oggi, ecco cos'era quella certezza: era stato come andare nello spazio, esplorare la faccia luminosa del satellite, era sentirsi senza peso, era godere della vista dall'alto, di una prospettiva aerea, rimbalzare su e giù con la gravità non più gravida di brutti auspici, perché avevano fatto l'amore, l'amore fino al mattino. Due volte. Tre! Anzi quattro! No, non esageriamo. Due vanno bene. E poi si erano salutati, era rimasto solo e... aveva preso a precipitare, giù fisso verso il centro della Pianura Padana nebbiosa. E non c'aveva più capito niente. Aveva confuso i giorni, ancora e ancora, con questa sensazione delle cose, dei fatti, degli accadimenti importanti per lui che riprendevano a nascondersi, o a scappare via, o a chissà... chissà che... che...
Che stava pensando?
Aveva creduto d'aver stretto qualcosa. Di aver raggiunto l'illuminazione. Ma quale illuminazione?
Una volta era stato in Giappone e gli avevano parlato del fondatore illuminato del buddismo Shingon. Avrebbe voluto essere come lui. Invece solo buio. Molto buio. Quasi sempre notte, nella sua testa. E se avesse voluto vederci chiaro, chessò, fino a due giorni prima? Otto anni fa il Giappone. Ieri la luna. Forse. Ma come? Era un astronauta? No, non diciamo fesserie. Poi, dopo la luna, una colazione, pranzi come di Natale o di domenica, anche di sabato, poi gli amici e poi qualcos'altro. Amici di scuola superiore. Era stato a scuola! Oh no, troppo indietro!
Si era imposto di scavare con criterio. Allora indietro di uno e bastava provarci col venerdì. Se era venerdì, per forza aveva lavorato, perciò era facile bollare tutte le otto ore da lì a ritroso lungo la settimana fino al lunedì con un sicuro "A lavoro". Ma del resto? Dei giorni veri? Dei momenti suoi? Chi era stato? Con chi? E perché, esattamente?
Non gli pareva di ricordare nulla di eccezionale. E allora si era chiesto il senso di essere inchiodati a un presente senza fine, senza risposte, tutto scivoloso. A momenti non capiva nemmeno più chi si facesse quelle domande, chi dava le risposte, chi fosse lui, e questo gli faceva molto male. Però...
Di recente era stato sulla luna. Di questo era sicurissimo!
09/12/25
L'allunaggio
01/12/25
Obunua
Obunua è tra le fronde degli alberi, occhi gialli fra le foglie, ti segue, non lo sai. Obunua è lo spirito che assopisce la natura dolce delle cose, è sull'asfalto, mentre cammini, s'immerge nelle pozzanghere infilandosi dall'una all'altra e al ritmo dei tuoi passi spegne i cieli che ci si riflettono dentro. Obunua è meglio che non lo incroci, che te lo tieni alla giusta distanza. Proprio ieri ha ammazzato uno in autostrada, una sterzata improvvisa, non necessaria, una carambola di vetri, lamiere, cemento che ti spacca le ossa del torace e poi di te non resta molto. A Obunua piace, far male alla gente, guardare cosa ne resta dopo. Obunua, è il maligno, è inutile che te lo spieghi, perciò se ti si attacca addosso, se sei di suo gusto, inizia a spuntare la lista di ciò che vorresti fare prima di andartene, perché non avrai molto tempo ancora. Obunua si prenderà gioco di te, ti leverà dignità, umanità, senno, ti farà implorare la pietà del sonno, e quando crederai di essere al limite, di non poterne più, sarà quella l'ora in cui inizierai a stupirti, di te e di quanti pezzi ancora ti si potranno strappare. Obunua passeggia tra le stanze dei malati terminali, s'intrattiene tra le coperte di stracci dei barboni, negli aghi dei tossici, sotto le unghie dei disperati che chiedono la carità. Non si può capire cosa lo spinga a farlo, se ci sia una ragione, un perché, se ne tragga piacere o gioia. Obunua non si cura degli schemi umani, fa ciò che fa per sua natura, sfugge alle categorie, alle rappresentazioni, però non teme di mostrasi, non sta per forza appena sotto il pelo dell'acqua, nelle forme spettrali che vedi viaggiando di notte, o quando un lampione, un cestino, un albero, magari sulle prime, ti sembrano qualcosa di diverso e osceno. Lui fa il gioco del tarlo, scava dentro, lentamente, ma con tenacia e costanza, e tu nemmeno te ne accorgi finché non è troppo tardi. A volte puoi trovartelo a un palmo dalla faccia. Quando stai per addormentarti, per esempio, e ti senti il suo sguardo addosso, ti fa saltare dal letto, lo vedi nella sua interezza. Poi Obunua lo scordi, si fa dimenticare a posta, sempre, ma l'insonnia rimane e sai che il calvario è appena iniziato. Obunua lo sa che camminiamo tutti in equilibrio su un filo, che a volte basta il fiato di un'idea diversa, corrotta, per farci cadere. E se sei una persona tutta d'un pezzo, solida nelle sue convinzioni, oh quanto si divertirà a farti crollare. Perché Obunua è questo: è il tanto che basta, che a volte, prende in contropiede noi umani, è la malattia rabbiosa che premendoci a terra, degrada la monotonia luminosa della normalità, trasformandola nella prigione sorda di una mente che noi, normali, inizieremo a chiamare: pazzia.
28/11/25
La caduta di Icaro
Due ore di luce, poi sarebbe scesa la sera. Un vento fresco soffiava da Nord, tirando il veliero lungo la costa. C'erano ancora i contadini al lavoro, le greggi al pascolo nei prati profumati d'estate, i pescatori, al largo, lontani dalle proprie mogli e dai loro figli e dalle loro figlie, che correvano come scalmanati per le vie del paese. E c'era Etna, sopra tutto, sopra tutti, che stava zitto. Da quanto? Almeno un paio di mesi, perché c'era da stare a guardare, sì, e da attendere, ché era finito il tempo delle chiacchiere e c'era ora quello dei fatti, fatti di altri, va bene, ma fatti straordinari e perciò da contemplare in silenzio, ché se le cose andavano come si sperava, qui si vinceva una scommessa pazzesca, s'invertiva l'ordine della natura e in quel caso, lui, Etna, avrebbe detto cosa? Avrebbe fatto cosa, al riguardo?
Due ore di luce, poi sarebbe scesa la sera. Un vento fresco soffiava da Nord, tirando il veliero lungo la costa. E proprio lì, a poppa, nel mare, cadde un gigante che affondò negli abissi, nel silenzio generale.
Etna esclamò un colpo, un boato violaceo che, vaporoso, esplose di fumo caldo, di stupore, omaggiando il grande Dio Sole in una luminescente ovatta dorata. La vita, dunque, andava avanti lo stesso. I fatti, non erano stati fatti. L'uomo, se pur gigante tra gli altri, primo nei cieli tra tutti, aveva azzardato forse troppo e così, dai glaciali vestiti indaco da cui era precipitato, sferzava ora le schiume e le onde, ignorato dai suoi, visto solo dalla montagna. A Etna ancora scorrevano, tra magmatiche venture, le immagini di quelle sue gambe, titaniche come alberi maestri, rompere i flutti più potentemente dei galeoni, e di quel corpo lucido, brillante di audacia, luminoso di sudore, di calore, di bramosia e infine di paura, e di come aveva sofferto bruciandosi ai raggi, di come si era scottato toccando appena un attimo Dio. Etna ne era assorto. E anche soffocato. Non sapeva se urlare o starsene zitto. Quanti sentimenti gli ribollivano dentro. Quante pressioni inattese lo scuotevano nel profondo. Si domandava perché nessuno l'avesse aiutato. Si chiedeva come fosse possibile che nessuno lo avesse visto tentare, osare, fallire. Ma quelli, gli uomini, quelle scimmie senza creanza, nemmeno sapevano, nemmeno sognavano, e badavano invece ai loro affari di misero conto, alle vacue quisquilie che Etna, volendo, poteva spazzar via con un solo sbadiglio. Li detestava. Oh, come li detestava. Perché ammirava invece il gigante affondato. Il gigante che almeno per un attimo, aveva persino volato. E ne aveva invidia, prima, quando forse poteva vincere la Terra, quella che lui invece soffriva come una catena, una gabbia, una prigione invincibile, e ne aveva stima ora, perché almeno per un momento, lui, il gigante di nome Icaro, anche se aveva fallito, era stato libero come nessuno mai.
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| La caduta di Icaro, di Pieter Bruegel il Vecchio |
31/10/25
Madre - Racconto Horror per Halloween
Oggi, come promesso, vi propongo un breve racconto dalle tinte horror nato da uno dei vostri suggerimenti. Un paio di settimane fa, se ricordate, vi ho proposto un gioco: lasciarmi un commento indicando Chi, Dove e Cosa, da cui io avrei dovuto trarre una storia.
Ringrazio perciò fin da subito i partecipanti, ovvero: Franco Battaglia, Bruno, friulisulblog2 e Sinforosa e vi svelo che, tra diversi spunti, è stato scelto quello di...
Bruno, che ha scritto:
Seguo il suo dito. Un'ondata di schiuma sbatte il corpo contro i gradini della scala di sicurezza. È rivolto a faccia in giù. Non riesco a riconoscerlo. Il giubbotto catarifrangente compare e scompare tra le acque nere. Vorrei dire qualcosa, ma le parole mi muoiono in gola, assieme a ogni buona intenzione. Come facciamo a tirarlo fuori?
"C'è Luca!" dice Andrea.
Luca sta scendendo, torna da noi saltando i pioli, scivolando giù per la scala del pozzetto.
Mi riprendo. Un filo di speranza. "Allora?" chiedo appena tocca terra.
"Niente?!" aggiunge Andrea.
Luca ansima. Riprende fiato. Fa segno di aspettare un attimo. Poi osserva. "Cazzo, sale di brutto!"
"Forse si è otturato il depuratore?" chiedo.
Non risponde. La luce va e viene.
"Ma quindi?" lo incalza Andrea. "Si esce o no?"
Luca dice: "No. Troppa acqua fuori. Si è allagato tutto."
"E se spingiamo in tre?" propongo.
Capisco la risposta dalla disperazione che gli sfigura la faccia. Poi un lampo, adrenalina, paura: anche Luca si accorge del collega nel collettore fognario. Non vorrei, ma mi giro e lo vedo, lo riconosco perché sta a faccia in su, ora, col volto gonfio, una maschera bianca che squarcia le correnti.
"Paolo..." la voce strozzata di Andrea è una pugnalata al cuore.
Com'è che ci siamo infilati in questa situazione? Un collega è appena morto annegato e noi stiamo per fare la stessa fine.
20/10/25
La dama delle tre
Quel pc le aveva ammattito il cervello. Tutto il giorno, tutti i giorni, sua madre se ne stava trincerata in casa a giocare a dama. L'assurdità? Non ci guadagnava soldi, né gloria. Non erano sfide reali, online, con persone vere a comandare le pedine. E non c'erano premi, classifiche, nulla. Suo padre non commentava, non aveva pareri al riguardo. Era il peggiore di tutti. Sembrava non accorgersi e forse quasi gradire, in effetti, di avere un automa, lì, bello a sua disposizione, fintanto che questo provvedeva alle faccende domestiche, a cucinare, a fare la spesa, a lavargli i vestiti. Lui, l'uomo di casa, il padre padrone che però non concordava su questa definizione, si nascondeva dietro la facciata del sessantottino tollerante di tutto, aperto, garante della libertà altrui, per la parità dei generi, moderno, ma non si era mai premurato di capire cos'avesse la moglie, di offrirle un aiuto.
Comunque, dopo aver imprecato quel tanto che basta per levarsi il nervoso, Giulia si abbandonò al letto e si accese una canna. Quelle, suo padre, gliele aveva sequestrate, i primi tempi, ma poi Giulia aveva scoperto che il bastardo se le fumava e allora avevano litigato. Lei lo aveva atterrato schiantandogli addosso anni di risentimento, rovesciandogli in faccia l'ipocrisia dei suoi stupidi comportamenti, facendolo vergognare, mettendolo a tacere con la forza delle argomentazioni a cui uno così, intrappolato in quel suo contorto ruolo di rivoluzionario col culo comodo sul cuscino, non poteva assolutamente controbattere. Quell'ometto in realtà non era abituato a qualcuno, specie a una donna, che giocasse il suo gioco e che fosse capace di tenergli testa. Di vincerlo addirittura. Aveva perciò mollato sul fumo, così come su molte altre questioni. E a Giulia era salita la rabbia, perché pensava alla pover'anima di sua madre, una che non sapeva farsi valere in niente e perciò soccombeva e pian piano, scompariva. Lei no: non si sarebbe mai fatta annullare da nessuno, tanto meno da un uomo, da un marito.
Chiuse gli occhi e si abbandonò alla piacevole leggerezza che ora le faceva formicolare la nuca. Ripensò a come Elio l'aveva guardata quella sera, di nascosto, tante volte, anche facendosi beccare dal suo ragazzo, troppo molle per dire o fare qualcosa. Pensava a lui e avrebbe voluto sfidare quella sua sfacciataggine. Lasciarla sfogare. Avrebbe desiderato che Elio l'avesse seguita, magari, per esempio quand'era andata in bagno, mentre tutti erano di là a bere, non sospettando niente, ma avendo la perfetta possibilità di percepirli, di beccarli in flagrante. Se lo sentiva addosso, Giulia. Sentiva il desiderio di Elio scorrerle sotto i vestiti, e desiderava di essere presa in contropiede da lui, di essere spinta a fare qualcosa di sporco e sbagliato, che andasse contro i suoi principi. Non avrebbe mai tradito Mattia, ma nella sua fantasia, sola nella sua stanza, lo tradiva eccome. Voleva deludere le aspettative, voleva rinnegarsi, rompere con la parte che aveva scelto di calzare così bene. Si sentiva stranamente viva quando immaginava di non dover più aderire ai propri principi, quando sbagliava tutto, quando si mandava al diavolo.
Andò in bagno a fare pipì. Si pulì, si struccò, si lavò i denti. Il chiarore del pc, in salotto, rimbalzava ancora sull'uscio della porta, mentre il tenue rumore delle pedine, che si mangiavano a vicenda sulla scacchiera digitale, scandivano la vita di sua madre con un ritmo impietoso. Un tempo avrebbe preso quella donna per la testa, le avrebbe stretto la faccia tra le mani e l'avrebbe scossa urlandole Datti una cazzo di svegliata! ma quell'idea, quell'istinto furioso, si era placato con gli anni. Ora di anni, Giulia, ne aveva ventotto, e presto avrebbe lasciato l'appartamento. Presto, finalmente, sarebbe stata davvero indipendente. Non aveva più tempo per fare da babysitter a sua madre e a suo padre, né la voglia, soprattutto. Tanto non si potevano salvare. Erano materiale umano da professionisti, quei due sciroccati, come tanti della loro generazione. E il colmo era che proprio loro, che ne avevano così bisogno, non credevano affatto alla possibilità di curare la propria mente. Non credevano che anche quella era una questione di salute. Giulia perciò doveva far quel che poteva fare, ovvero: badare a sé, salvarsi, uscire dalla trappola.
Tornò in camera e aprì la finestra. Le era passato il sonno, ma il cielo fuori, fresco di fine estate, le dava una bella sensazione di quiete, di riposo. Lontano, tanto era limpido, si vedeva la sagoma del monte Summano, proprio lì, al centro di tutto, appuntito come un vulcano. Chissà quale altra vista l'attendeva, nel futuro. Presto ci sarebbe stata una nuova casa e così la sua stanza, la sua finestra, il suo panorama, sarebbero stati completamente diversi. Come la sua vita, forse. Come quella persona che magari, se se lo fosse permesso, avrebbe anche potuto prendere il suo posto, calzando panni che ora, poteva solo sognare.
14/10/25
Halloween? Lascia un commento e ti scrivo una storia!
10/10/25
Il centro del mondo
Se doveste chiederlo a me, dov'è il centro del mondo, saprei esattamente cosa rispondere.
No, non parlo del nucleo terrestre, ovviamente. Sarebbe una risposta troppo, troppo banale, sia per la sua cinica freddezza (freddezza parlando di nucleo... spiritosissimo) sia per l'assurda pretesa di identificare il mondo col nostro pianeta fisico e nient'altro, lasciando da parte il resto del creato, per esempio, in un atto di puro antropocentrismo, ma pure, volendo al contrario fare gli antropocentrici sul serio, tutti gli universi umani che abbiamo invece dentro.
Quindi cosa intendo? Che sarà mai il centro del mondo, per me?
Malo! E già m'immagino le risatine di chi lo conosce, ma anche il sopracciglio alzato di chi non ha idea di cosa stia dicendo. E allora spiego meglio e dico che Malo, il paese da cui provengo, tredicimila anime, in provincia di Vicenza, luogo che molti vedono per lo più simile a un grande dormitorio ma che secondo me invece ha molto da dire e purtroppo non è questo il momento e lo spazio per raccontarvelo, ecco questo Malo, è per me il centro. Lo so che pare assurdo, ma per me è lì il punto zero, dove il mondo parte, in cui il seme di ogni cosa nasce, si propaga e diviene realtà.
Mi è facile intuire come tale centro dipenda molto, come insegnano psicologi e psicoterapeuti, da che tipo di bambino sia stato, e ovviamente anche da che tipo di genitori siano stati i miei. Per quanto riguarda me, ero un vagabondo. Salivo in bici, già molto presto, impuntandomi a usarne una da adulti pur arrivando appena ai pedali, ed esploravo. Volevo sondare i confini di Malo. Non potevo ovviamente allontanarmi chissà quanto, ma diciamo che il fiume da un lato, la statale che portava verso San Tomio o Molina dall'altro, e Case di Malo in un'altra direzione ancora, erano limiti decentemente interessanti, decisamente abbondanti, pur nella loro poi rivelata ristrettezza. Erano abbastanza per poter vivere le avventure di cui avevo bisogno. Per quanto riguarda i miei, invece, posso affermare che assolutamente non volevano stessi troppo alla tv a rimbambirmi, o ai videogiochi, e questo si traduceva nel comandamento ad uscire, Via fuori con gli altri, o Vai a farti un giro in bici che fuori è bello! o ancora Sali sul Montecio! E così quando ero in quarta, quinta elementare, stavo fuori, mi facevo un giro come comandatomi, sul fiume o anche tra i sentieri del Montecio, un bosco in collina tutto sommato contenuto, ma che comunque poteva regalarmi ore di isolamento totale.
Quindi dicevo, il centro e Malo come centro per me, sono legati a questa mia, così come dei miei amici, attività esplorativa. Il mondo si generava dal punto di partenza dei nostri giri. Naturalmente, quel punto, ha fatto da centro in cui tornare non solo allora, ma anche dopo, ancora oggi, anche se casa mia non è più lì e il mio girovagare "parte da" e "si sposta in" altri luoghi, a distanze da compiere in auto, treno, aereo addirittura, che con quelle non hai proprio più il collegamento con ciò che passa fuori dal finestrino. Un centro che stranamente, e me ne accorgo quando ad esempio vado a trovare i miei nonni o mia zia, che ora abita il mio primo appartamento, non è questa coppia di case vicine, case della mia gioventù, né il condominio anni 80 in cui si trovano, così come il piazzale lì di fronte o il parco. È un centro che piuttosto sta all'incrocio, a circa duecento metri da lì, in cui prendevo il pulmino per andare all'asilo. Passandoci, sento come di attraversare un posto essenziale, un punto della mappa segnato in grande, in rosso, con una X. Proprio quello è il mio centro, il posto da cui ciò che esiste, inizia. E questa cosa mi fa dire Oh, sono tornato all'inizio, all'inizio del tabellone, pronti a ricominciare! e mi sento pure un po' scemo perché lì, in quell'incrocio, dimenticato da Dio, non c'è davvero niente, niente, ma proprio assolutamente niente di speciale, o anche solo di degno di nota. Non so se il vostro centro sia più interessante del mio, ma questo è quel che ho io e questo è quel che avevo da dire al riguardo.
p.s.
Alla facciaccia di Giavenale gné gné gné!
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| il Montecio è quella macchia verde al centro a sinistra |
05/10/25
Degradazione
In balia degli eventi, masticato dalla vita, come un bolo alimentare, sballottato da due arcate di denti che mi fanno a pezzi, triturato, impastato con la saliva a colpi di lingua, il primo passo per essere digerito, come spiegava la prof di scienze alle medie, che inizia tutto da lì, poi gli accadimenti mi mandano giù, inghiottito, sparato nell'esofago, potrei resistere, piantare i piedi, dire fermate tutto e far soffocare queste forze peristaltiche, urlare fatemi una manovra di Heimlich, siamo ancora in tempo, ancora in tempo! ma non posso, non posso contrastarle e vado giù, la vita, la vita, la vita mi digerisce, mi scioglie nell'acido e che ho fatto mai per meritarmelo? ma intanto non c'è scampo, assecondo il flusso, mi arrendo, sì, perché a questo punto è troppo tardi, sono così diverso, così trasformato, che non sono più io, non riconosco nemmeno le parti di me più ovvie, ne uscirò vivo? non credo, ne uscirò devastato, martoriato, peggiorato, degradato, sappiamo tutti come ne uscirò, ne uscirò come da un buco di culo, cadrò nel vuoto, indifferente a tutti, nessuno saprà più chi sono, sarò forse rivelato nella mia essenza di merda, perché ogni parte buona mi sarà stata strappata via con la forza, con la determinazione maligna che a volte la natura umana sa riservare alle persone più gentili e fragili, e perciò rimarrà solo il peggio di me, che non è vero che le tragedie ti rendono migliore per forza, perciò cadrò, orrendamente trasfigurato, per essere accolto da un abbraccio freddo, indifferente, e nel silenzio sommerso di una nuova solitudine, prenderò una nuova via, scaricato definitivamente giù per lo sciacquone, con la speranza che il sole, da qualche parte, torni a brillare e che un fiore, dalle mie brutture, rinasca.
23/09/25
Il futuro di questo blog e di CervelloBacato
Magari qualcuno di voi, qualche frequentatore o frequentatrice storica, o non per forza, può aiutarmi a far luce.
CervelloBacato, tra alti e bassi, c'è dal 2012. Attualmente ci sto pubblicando narrativa e poesia, intervallate da qualche spunto personale, come questo che state leggendo.
L'ho ripreso in mano nell'ultimo paio d'anni e mi fa piacere, perché sento di aver ritrovato uno spazio mio, più lento, più a misura d'uomo rispetto al turbinio dei social.
Qual è il mio cruccio, quindi?
Vorrei portare tutti i contenuti di questo blog sull'altro mio sito, Punto e a Copy, che è più moderno e funzionale.
Pro:
Piattaforma moderna, facile da consultare per gli utenti, più ricca.
Un unico posto coi contenuti di questo blog più quelli di Punto e a Copy.
Contro:
Che nome dare a questo nuovo posto?
Rimarrebbe puntoeacopy.com? Naaa... C'entrerebbe gran poco con i contenuti che ci sono qui.
Diventerebbe il nuovo cervellobacato.it? Potrebbe. Ne riadatterei l'estetica, ovvio, ma questo significherebbe perdere completamente Punto e a Copy.
Parentesi su Punto e a Copy.
Questo sito è nato con l'idea di lavorare come copywriter e social media manager mettendomi in proprio. Del progetto, poi mai andato in porto, è rimasto il sito, che mi è stato utile come vetrina professionale per parlare, appunto, di comunicazione.
Snaturarlo vorrebbe dire perdere ciò che avevo costruito.
Anche se, devo ammetterlo, sono almeno un paio d'anni che non lo aggiorno.
Insomma: potrei essere pronto ad abbandonare questo brand.
L'altra possibilità, invece, è chiamare il nuovo sito nome+cognome.it.
Sarebbe un voltare pagina definitivamente.
Niente più Punto e a Copy.
Niente più CervelloBacato.
Ma il cuore, i contenuti, ci sarebbero tutti.
Abbandonare CervelloBacato.
Più ci penso più mi pare sensato.
Ma è anche vero che, per quanto sia un nome veramente strano e difficile da dire dal vivo, tipo
è casa mia da tanto tempo.
Su quest'ultimo punto gli unici che potrebbero farmi riflettere veramente siete voi.
Ditemi or dunque...
Avete dritte?
Se vi va, i commenti sono a vostra disposizione.
P.s.
Ovviamente un'altra valida alternativa è non cambiare nulla. Mi convince poco, ma ci sarebbe molto meno sbattimento.
22/09/25
Novena
La sera facevamo lo stesso le ore piccole, per quanto i genitori ti permettano di fare tardi a undici anni, perché eravamo in vacanza, ma poi ci alzavamo all'alba, appena prima, per prendere le bici e salire verso Santa Libera con l'aria fredda della notte in faccia, i copertoni delle mountainbike che correvano sul ghiaino, sotto i castagni del montecio, discesa veloce, sottopassaggio, fuori di nuovo, zona centro giovanile, centro paese, ponte e campi da tennis e su, alla chiesetta e giù, dalle biciclette.
Mancava poco, pochi giorni prima di riprendere scuola, e anziché dormire ci avvicinavano alla Casa del Signore quasi in punta di piedi, il cielo scuro, il portone in legno pesante, poi uno spiraglio, e dentro le luci delle candele, la litania degli anziani che avevamo imparato a riconoscere, sempre gli stessi, pochi, ostinati.
Prendevamo gli ultimi banchi, defilati, qualcuno si voltava un momento, chissà se chiedendosi chi fossimo, o che ci facessero due ragazzini di forse dieci o undici anni, lì, alle preghiere dell'alba. Noi sapevamo solo che l'avevamo scoperta per caso, questa storia della liturgia delle ore, della novena, queste preghiere che sembrano un canto infinito, un'ipnosi, una meditazione collettiva da fare a Dio prima dell'aurora.
Eravamo andati a curiosare con l'idea che uscire in bici che era ancora notte aveva un qualcosa di sinistro e magico, e in effetti anche raggiungere la funzione in collina, in quel posto così raccolto e umile, diversamente dal duomo, lo rendeva tale. Un po' pregavamo, o meglio, io pregavo, non so il mio amico, ma per lo più ascoltavo e osservavo quasi facendomi cullare, strizzando gli occhi per rendere le luci simili a scintille, chiudendoli del tutto per un po', e poi riaprendoli di soprassalto per paura di addormentarmi e farmi richiamare. Era bello starsene lì, in quel luogo sospeso nella notte, assaggiando una calma diversa da tutte le calme che avevo provato prima. Anche perché, a undici anni, di stare calmi non ti passa neanche per la testa e lo fai se ti ci costringono, se devi stare buono, fermo, al tuo posto, in silenzio, attento, senza distrarti, insomma in tutti quei modi che ti mandano al manicomio.
Ma lì, quelle mattine, accadeva una specie di incanto, era come nuotare al mare, raggiungerlo correndo sulla sabbia bollente e non vedere l'ora di buttarcisi dentro, era starsene per un attimo a trattenere il respiro, coi rumori attutiti, lontani, la luce distante e il mondo fuori, fuori, ad attendere la tua riemersione.
Usciti e riprese le bici, riemersi dal fondale della chiesa, si tornava a casa che era ormai giorno, l'incantesimo spezzato, il senso di quella parentesi via via sempre più perso, insensato, senza sapore, pedalata dopo pedalata, tanto che, ci si dice, Sai cosa? Domani magari... Sì, domani... forse andiamo. Ma forse anche no!
E così infatti, alle preghiere dell'alba, non ci saremmo mai più andati, mai più capitati, dopo quei tre, quattro giorni di fine estate che si annunciavano, almeno per me, come gli ultimi frammenti di fede, quando ancora la religione cattolica, le messe, le preghiere e Dio, erano una forza che potevo sentire, come un timore, un richiamo severo e ultraterreno di una tradizione che sapeva influenzarmi.
16/09/25
Super tempio
Super A&O in un paese di provincia, ha l'insegna stampata di rosso su sfondo bianco, bianco su tutte le pareti, bianca la facciata, sporca di pioggia che si è asciugata ed è ripiovuta e via così per tante di quelle volte, per tanti di quei pomeriggi grigi d'autunno, che ora è così e solo così può essere, e lui, il super, ti apre le sue porte automatiche, ti accoglie a braccia aperte, sei sceso di corsa dalla macchina per gettarti nella sua stretta sicura e gentile, amen mamma con l'ombrello, è lenta, tanto poi arriva e tu, già dentro, bagni piastrelle che hanno tutta l'aria di essere lì da secoli, lucide di pioggia in tonalità sabbia e sporche di suole di scarpe, almeno all'inizio, poi sono opache e riflettono appena le luci al neon del negozio, e ci sono scaffali, scaffali in fila di cose che ignori, perché sai che sono solo due quelli giusti: uno di caramelle, cioccolata, cioccolata in barrette, milka riso soffiato, galak bianco, forse, sicuro cioccolato bianco però, la marca poco importa, e sorprese di Pocahontas, almeno in quel periodo; e poi l'altro, per ultimo, coi giocattoli che vorresti, il trattore in metallo giallo per esempio, piccolino che non fa male a nessuno, a nessun portafogli di sicuro, o il camion dell'immondizia, quello è più grande, viene di più, ma sarebbe bello averlo per capire come funziona quando tira su i bidoni pieni, che se li mangia quando lo vedi davanti casa, per ridarli svuotati, alleggeriti, nuovi anche se dentro, quando pesti la maniglia e si alza il coperchio ci senti una puzza dolciastra e calda da far lacrimare.
Ti chiama, tua madre, e la segui nel suo meditabondare di prezzi, prodotti, cose da cucinare, surgelati, il macellaio col neo strano sulla guancia, l'ammorbidente coccolino, hai il pupazzo a casa, cereali, e ti immagini le musichette delle pubblicità, e aspetti e aspetti e intanto godi, non sai cosa, forse il dopo che verrà, i tuoi scaffali come promesse che ti fai, come preghiere nel pomeriggio buio di pioggia sottile, come coperte che ti isolano, ora, da fuori dalle vetrate, dal parcheggio gelido, poi tanto c'è tempo ancora, ed è questo il bello, che quando tornerai a casa, c'è tempo per finire gli ultimi compiti, italiano facile, e sarà ancora pomeriggio per vederti qualcosa alla tv o magari giocare alla Nintendo, ed è ovvio che in questo Super A&O del millenovecentonovantaequalcosa ci stai, d'autunno, bello come una foglia, felpa sopra e tuta lunga sotto, al sicuro in questo momento qui, che fuori c'è l'ira di Dio dice tua madre, e non capisci se sia l'ira o lire, di Dio, perché a volte lo dice per il meteo, a volte per il gioco che vorresti, tipo "No sei matto? Costa lire di Dio!" Oppure l'ira? Avrebbe più senso il primo ma ti pare che finisca con la A piuttosto che con la E, perciò parla di Dio incazzato e potrebbe essere sia perché si sfoga di pioggia sia perché si spende troppo. Decidi che vanno bene uguale. Poi comunque, nel dubbio, il cioccolato bianco va, perché è golosa pure lei, tua madre, ira o lire di Dio che siano. Ma soprattutto va il momento, va via dal supermercato, dal millenovecentonovantaequalcosa, dal pomeriggio d'autunno, via nel tempo ma non, non dalla tua testa, e che stupidata, dici tu! Che ha di speciale un ricordo così? Un momento, o una serie di attimi simili, di questa situazione banale, che rimane a sedimentarie e a ereggere una specie di tempio in cui tornare a riposare la mente, a rallentare i pensieri veloci, a dipanare cortocircuiti paranoici, aprendo i tuoi vicoli ciechi in pratici scaffali con alla fine le vetrate, sempre lì col parcheggio in vista mentre piove, un tempio in cui sentirti al sicuro, mentre speri che non sia soltanto una bugia, un auto inganno anche questo, mentre chiedi a te stesso se sia successa davvero, questa tua quiete lontana.
Non sai dirlo. Ma a volte ti sembra di intravvederla ancora, specie se ci passi davanti. Oggi è diverso, certo. Un Iper Famila nuovo tirato a lucido. Da Super e Iper la differenza si vede, che i nomi, pare, non si danno a caso, e infatti più spazio, più corsie, più oggetti, più banconi per i prodotti freschi, più casse e cassieri e cassiere e pure le automatiche, e mentre ci passi vicino, al parcheggio, al negozio, sfiorandolo in macchina, specie in autunno, è come ti facesse un bisbiglio, come ti aspettasse, ancora, a porte aperte. Vieni, vieni, guarda che brutto tempo là fuori. Magari una volta ti ci fermi, ma ora no, vai di fretta, troppe cose a cui pensare, e poi devi rispettarlo il tuo tempio, e così, dovessi entrare, non sai, sarebbe come profanarlo, e non vorresti.
29/08/25
Vite in carta
leoni, gladiatori, senatori e popolino.
Sangue e vino caldo, piscio, gloria e grida forti,
schiavi idolatrati a massacrarsi dagli spalti.
Ma ieri... ero a Dublino, al Trinity College!
Corso di scrittura, solo, senza un'amicizia.
Questa è la notizia, si invertono i ruoli,
Marianne che mi consola perché sa dei miei dolori.
Poi scappo di casa, è un grido sordo e dice basta.
Bastiano ne ha abbastanza di quei bulli senza testa.
Solo nella stanza, un libro che lo chiama,
La storia infinita che lo salva e gli da forza.
Oh guarda, volo a Tokyo, ma quella del futuro!
Per dieci nascituri puoi anche uccidere qualcuno.
Parti controllati, benedetti, santificati,
madri killer che premiate dallo Stato fanno stragi.
Lo so, ti stai perdendo in questi versi sconosciuti.
Ma è bello abbandonarsi mentre leggi a mille voci.
Perché è una fuga dentro, coi libri, pagine piene
di mondi alternativi che distruggono barriere.
Dai prova a starmi dietro, qui nell'orda insieme al gruppo.
Cerchiamo di avanzare senza romperci le ossa
per questo vento, che soffia fuori, e intanto scuote dentro,
pianeta nuovo da esplorare, ma sempre controvento.
O meglio più reale? Magari andiamo al mare?
Ti porto in Puglia tra gli ulivi e i campi spaccati dal sole.
Senti qui, non c'è nessuno, ma pensa te che strano,
la malavita non si nota e fotte e frega piano piano.
Bruno ti aspetta come sempre e senza far domande.
Lui che perde il padre, tuo padre invece il figlio,
poteva andare meglio, orgoglio re di ogni tuo sbaglio.
Cambiamo continente? Facciamo un salto a Derry?
C'è un gruppo di perdenti che ti accoglie a braccia aperte.
Ma attento che c'è un ombra che qui striscia da millenni,
si mangia le paura, si nutre dei tuoi sogni.
Non so se l'hai sentita poi la storia delle donne.
Starebbero facendo tipo una rivoluzione.
Quei loro corpi strani adesso non li puoi più sfiorare
perché ti fulminano, ma sul serio, con un tocco delle mani.
Torno in Italia e come Daria, vorrei solo un poco d'aria,
obiettori di coscienza e tu hai già perso ogni speranza.
Tu ci provi ad esser brava, donna libera, madre forte,
che la sorte ti ha scalfita e ti ha dato un'altra vita.
E io di vite ne ho una sola, ma ne ho già sfiorate molte.
Un libro è coscienza curiosa che ti fa mille domande.
E lo so, c'è chi non legge e pensa che non serva a niente,
ma sbaglia strada e poi si perde quell'entrata alla sua mente.
Poi mi chiedi perché farlo se c'è il film comodo in streaming?
Perché metterci un mese interno se in due ore già ci arrivi?
Perché ci vuole tempo e fatica per conoscere se stessi,
è quel gioco lento a scacchi, non la sfida di riflessi.
20/08/25
Facciamo che ti fermi
La tua coscienza sporca che ti segue a passi
veloci come un'auto in corsa mentre scappi.
Lo sai che non ci scampi? Lo sai che hai fatto tardi?
Lo sai che anche se corri dai peccati vengono avanti?
Proviamo ad affrontarli, proviamo a farci i conti.
Vedrai che se combatti puoi buttare già i tuoi muri,
di sbagli, disegni, disagi dentro,
tutte le volte che hai evitato di guardarti dentro.
Certo è più facile restare a prender fiato.
Distrarsi oppure voltarsi dall'altro lato.
Che poi chi te l'ha detto, che l'uomo non crollava?
Chi è che controllava se piangevi nel tuo letto?
Che tu sia maledetto, tu e la tua armatura,
corazza invalicabile contro la paura
di essere il più scarso, lo scarto, contronatura,
perché se frigni sei una femmina, ed è certa la tortura.
Ragazzi soli che non vengono accettati.
Uomini zitti e muti che non vengono aiutati,
incastrati, incatenati, obbligati
da aspettative che li crescono finché non sono abituati
a vincere perché sai serve avere un buon lavoro,
a fingere per essere sempre al sicuro,
che in gioco c'è l'onore e tu devi osare,
non puoi scadere se non vuoi rischiare di farti sbranare.
Tutti gli scontri vinti per cercare di restare
in piedi dritto contro tutti perché puoi cadere.
Se fai vedere che non ce la fai poi tutti a parlare,
a maledire, malelingue, malasorte,
non sei abbastanza e dentro pensi non ho più le carte
in regola per essere quello che serve,
perché ti dicono che puoi ma poi ti lasciano solo tutte
le volte che sei morto dentro e non trovi più le forze
per affrontare e vuoi scappare via da un'altra parte.
Sei molto più di un uomo, non diventare un mostro,
se vuoi volerti bene curati di essere umano.
Potresti andare più lontano senza il peso del perdono
che ti neghi, sempre in guardia, avanzando a muso duro.
Facciamo allora che ti fermi, tiriamo questi freni,
sgonfiamo queste arie almeno quando siamo soli,
e senza fretta, senza rabbia, ascoltiamo quel bambino,
negato troppo a lungo, in cerca di una mano.
11/08/25
Come si ferma un momento?
Ieri, dopo un giro in bici, mi sono trovato sulla riva di un fiume. Fatto il bagnetto tattico per ripigliarmi (acqua gelida) sono rimasto lì fino al tramonto e mi sono messo a scrivere.
L'intento che spingeva la penna (mi ero portato carta e penna, sì) era quello di bloccare il momento, di catturarlo, e con lui di riuscire a rendere anche un pezzo di natura.
Per non perdere quel che ne è venuto fuori, lo condivido qui. Sono due pezzi molto brevi.
La magia esiste, funziona, ma è complicata.
Prendi il fiume che scorre, questo qui davanti, stasera, con l'acqua che parte da molto lontano, da un altro fiume forse, o un lago alpino, poi una sorgente, una forza che rompe le acque aprendo in due le intimità della montagna. Come fai a spiegarti la scientifica perfezione che ciclicamente piove e riempie, bagna e assorbe, assola e vola, condensa e scroscia e s'infila e pulisce e s'incastra e s'incontra e si scontra e si spinge via, per far bagnare qui, molto dopo tutto ciò detto, i tuoi piedi nella corrente che appiattisce i ciottoli? Come fai a spiegarti questo momento? Magia! Magia antica che ha imparato a memoria a giocare il suo gioco, concedendoti, stavolta, di divertirti un po' assieme a lei.
Scrivere, raccontare, poetare della natura. E come si fa? Che pretesa!
No no... guardo invece il tramonto che arriva, il fiume che scorre calmo, il signore che gioca coi suoi labrador uno bianco e uno nero nell'acqua, la compagnia di amici che ha fatto casino tutto il pomeriggio e adesso ci ha lasciati in pace e il cielo è azzurro tendente al blu, sopra ai ciottoli bianchi, alla mia bici lì appoggiata, quella che ho comprato al negozio dell'usato, una con le ruote sottili che corrono veloci ma che per questi sentieri sterrati non è proprio il massimo, poi le mie infradito sull'erba, le Stan Smith coi calzini infilati dentro, la maglietta sudata messa lì ad asciugare (ormai sarà asciutta), un elicottero che passa e si fa il Brenta avanti e indietro avanti e indietro e io, seduto sull'asciugamano con un quaderno appoggiato sullo zaino mentre butto giù tutto questo e penso che ho ancora addosso gli occhiali da sole anche se non servono più, ma non voglio interrompermi per toglierli, quindi scrivo ancora un po', immaginando che quando avrò finito, di provare a scrivere, raccontare e poetare la natura, me li leverò dal viso, aggiungendo qualche minuto di luce ancora alla sera, e mi godrò il momento, ora che anche il signore coi cani se n'è andato lasciandomi solo, io col mio foglio pieno, la penna posata, l'aria fresca, e le cicale e l'acqua e la ferrovia distante e l'ultima gente lontana, che suonano per me.
28/07/25
Di "che palle scrivi solo cose tristi" e poetry slam
Ehilà cervelli! Come va la vita?
Ultimamente, a leggere le cose che pubblico, mi vien da pensare che potreste pensare che io abbia pensieri piuttosto deprimenti. Tranquilli però, non è così!
Me l'ha fatto notare anche mia morosa: Madonna Davide, scrivi solo poesie da tagliarsi le vene!
Che ci posso fare? Mi vengono così. Non lo so neanch'io il perché.
A dir la verità scrivere pezzi "poetici" divertenti è complicato. Ma ci sto provando.
E perchémmai dovresti scrivere pezzi poetici per giunta divertenti? direte voi. O pezzi poetici in generale?
Facciamo allora che vi racconto dei poetry slam. Che qua non racconto pezzi di vita mia ormai da un pezzo.
Praticamente un anno fa scopro che esistono questi eventi competitivi, in tutta Italia, chiamati poetry slam.
Sfide che consistono in 3 manche in cui i poeti (o insomma... aspiranti tali) leggono in tre minuti un proprio pezzo. A votare? Il pubblico. Cinque persone scelte a caso che cambiano ad ogni fase. Chi tra i partecipanti vince si porta a casa la serata e passa al livello successivo, che può essere un poetry slam provinciale, o regionale, o nazionale e via così.
Dato che di poesie ne scrivo da un pezzo (qui nel menù trovate la sezione apposita), ho voluto cimentarmi anch'io in queste gare.
Inutile dire che qui non funziona roba con un'impostazione troppo... "classica", ma va piuttosto un formato adatto ad essere recitato ad alta voce. Performato! Ed ecco il perché di questi ultimi pezzi così lunghi (devo blaterare per almeno due o tre minuti) e musicali (devono essere coinvolgenti da sentire).
Ma perché tristi?
Perché non sono capace di scrivere cose divertenti, dicevo. Non in forma poetica almeno.
Ma ci sto lavorando.
Un primissimo esperimento di roba da ridere in effetti l'ho già fatto.
Se vi va di ascoltarlo ve lo lascio qui sotto.
Si tratta di un pezzo monovocalico con la lettera "O". Già di per sé un bel giochino.
Significa che tutte le parole usate in ogni verso possono contenere solo la vocale "O". Almeno per quanto riguarda la pronuncia. La parola "Ok" per esempio non vale, perché si pronuncia "occhEI", però posso usare "Toast" perché si legge "tOst".
Dalle risate delle persone direi che un minimo l'obiettivo di far ridere l'ho centrato.
Poi vabé... il pezzo successivo era un monovocalico con la "A" ultra depressivo, ma ci sto arrivando. Mica posso far ridere tutti subito sempre e comunque, no?
Se vi va ditemi come vi sembra e, nel caso vi capitasse di sentir parlare di uno slam vicino a dove vivete, fateci un salto. Vi divertirete!
23/07/25
Hikikomori
Pensieri di colla, sotto le scarpe,
oggi la gravità pesa almeno due volte.
Sai mi sono abituato a non sentire niente
sto vuoto lo trascino tutto il giorno, qui, nella mia mente.
Io ci parlo con la gente, c'hanno tutti qualche stortura,
giornate piene e pochi soldi, il futuro fa paura.
La sera torno a casa stanco, la vedi questa luna
o anche tu stai sugli schermi e nessuno ti s'incula?
Ma come abbiamo fatto a ridurci in questo stato?
Qualcuno dice è la politica corrotta, i magna magna, lo Stato.
Ma a me non me ne importa, mi sento appesantito,
pensieri di colla sotto le scarpe di un povero frustrato.
Una volta era più facile, avevo pure degli amici.
Bastava un giro fuori e una birra, per essere felici.
Poi tutto complicato, nemmeno più a parlarci.
E metto peso e sono solo e mangio troppo come i porci.
Ho mollato anche il lavoro, son tornato qui dai miei.
Il più sfigato di tutti i veneti, uomo giovane, ma senza schei.
Me lo devi dire, urlano, perché fai così, che cazzo hai!
Ma non so che cosa dirgli, faccio schifo, e vorrei...
andarmene, lasciare tutti quanti, lasciare me, soprattutto, in pace.
Che poi mi metto a ridere se penso a quelle loro facce,
il sollievo di non aver più tra i piedi un incapace
vedendo l'unico risultato di cui sarei capace.
Poi trovo una parola, hikikomori, suona giusta.
La melma del web sputa fuori almeno una risposta.
Una luce qui nel nulla, per capire, una speranza,
per spiegarmi cosa sono diventato, trincerato in questa stanza.
Un fenomeno giovanile, ma io sono eccezionale
proprio in questo fallimento dovevo essere un campione.
Lo psico dice di non giudicarmi, di rispettare il mio dolore,
pensieri di colla sotto le scarpe, devo darmi un po' d'amore.
Trovare altre persone, ricominciare un'altra volta.
Delle persone io c'ho paura sai, non sono un maschio alpha.
Sono l'omega della fila, quello che non inviti alla festa,
sono quello rimasto fuori che spia escluso dalla finestra.
"Ma la mia porta intanto è aperta. Il primo passo, è ciò che conta.
Tu parla qui con me", fa lo psico, "la tua è una rimonta."
Sai ci ho messo mille anni a ritrovare la mia spinta,
ma ora sono due volte più forte di prima e la gravità che pesava, infine, l'ho vinta.
14/07/25
Immobile
C'è un caffè che aspetta muto nella moca raffreddata
e un cassetto di posate sempre aperto, senza vita.
Qui qualcuno ci viveva in questa casa di campagna,
qui qualcuno se n'è andato in fretta e furia, senza grazia.
Certi luoghi son così, quando scade tutto il tempo.
Dici sì, poi ci torno, ma non trovi mai il momento.
Pensi che lui stia soffrendo? Stia piangendo? Stia pregando
che magari ci si voglia ancora crescere lì dentro?
Oggi due qui a visitare, sguardo un poco corrucciato.
Se buttiamo tutto giù e rifacciamo, interessato?
Non saprei se me la sento, sai chi ci abitava, vero?
Fa impressione se ci penso, e poi i soldi dove li prendo?
Ora ancora nel silenzio, un divano vuol sentire
quel suo bel televisore di parole innocue, senza fine.
Qui qualcuno si svagava, ci parlava, ci pregava,
qui qualcuno non voleva che calasse mai la sera.
Certi luoghi sono nostri, anche se pieni di mostri.
Dici sì, poi ci torno, ma vorresti un po' mentirti.
E anche se lui sta ingiallendo, sta crepando, sta marcendo,
sai che non c'è alternativa, mandi giù, fai un passo dentro.
Ma lo sai che questo posto era casa dei tuoi nonni
e gli zii quand'erano piccoli ci han vissuto mille anni?
Lo racconti a denti stretti, non sai bene se capisca,
piccolina non le importa, entro anch'io? fa a voce bassa.
C'è uno strazio di sporcizia e vetri lungo il pavimento
di piastrelle in paranoia che han sentito tutto quanto.
Qui qualcuno ci picchiava, ci soffriva, ci sperava
che scappare si potesse se Dio la mandava buona.
Certi luoghi fanno male, senti l'ansia che ti assale.
Fingi pure non sia niente ma è reale, è reale.
Lui ti fissa da ogni dove, ogni specchio, ogni anfratto,
occhi addosso come fuoco, marchio ormai che ti ha segnato.
Ferma, dici, non fa niente, forse qui è troppo sbagliato,
poi la scuola che facciamo? Nuova classe? No, è lontano.
Che ne sa lei dei problemi, cinque anni d'innocenza.
Che ne sa lei che è al sicuro, che le hai dato la salvezza.
C'è un immobile qui in vendita, sembra proprio un'occasione.
Ma le mura? Stringono forte. Stanze? Piene di dolore.
Qui qualcuno ci viveva in questa casa di campagna,
ma ora se n'è andato via, da quel tanfo di carogna.
04/07/25
Tutto quello che mi resta
e non sempre così distante
con gli occhi persi in uno schermo
a cui dedico attenzioni neanche fossi in uno stupido corteggiamento
Davide staccati un momento
ti stai fottendo tutto il tempo
sei fuori tempo, risali a stento, ti trovi spento
ti guardi in faccia e hai già perso
quel tuo fuoco sacro che prima bruciava dentro
Mi chiedo se saprò trovarmi
Mi chiedo se dovrò accettarmi
Con tutto quello che mi resta
per salvare quel me sano dal me perso che mi abita dentro la testa
Vorrei tornare nel 2000
vivere senza la catena
poter staccare un po' la spina
a un mondo virtuale che fa credere che senza non c'è modo di trovarsi...
per parlarsi e incontrarsi
e volersi ancora bene
e volersi ancora amare
senza perdersi nel mare dei canali digitali, senza naufragare
chiusi nella stanza soli
tutti insieme senza forze
tutti insieme senza fiato, senza aiuto
Tu ce la puoi fare? Tu ti puoi salvare?
Mi chiedo se dovrò accettarmi
Con tutto quello che mi resta
per salvare quel me sano dal me perso che mi abita dentro la testa
che siamo tutti un po' speciali
ognuno con la propria arte
e invece senza arte né parte
preghiamo al nostro tempio ormai in rovina, messo da parte
E siamo tutti senza scampo
tra le macerie e non c'è campo
senza corpi da toccare, da salvare, distanti sempre
peccatori spaventati che confessano a chi sente ma non sa ascoltare
e arraffa pezzi e dati e sogni
propone prezzi e merci e inganni
svende noi, coi nostri dubbi...
per fare affari a buon mercato con
quel tempo perso che gli abbiamo regalato
Mi chiedo se saprò trovarmi
Mi chiedo se dovrò accettarmi
Con tutto quello che mi resta
per salvare quel me sano dal me perso che mi abita dentro la testa
Qual è il futuro che mi aspetta?
Forse una vita senza fretta
di pubblicare, di consumare
di condividere con gli altri quell'immagine mentale che ho di me dentro la testa?
Sarebbe proprio una conquista
nuovo mondo, terra in vista
quella che mi apparteneva ma che navigando in scroll ho perso di vista
E allora dai che si torna in pista, liberato
Ma aspetta aspetta... pare sia arrivato
un altro specchio, mai provato, guardo appena
ci son riflessi tutti quanti, tutti dentro
e un'altra volta, un'altra corsa
cado nel fondo senza nemmeno più farlo apposta
Mi chiedo se saprò trovarmi
Mi chiedo se dovrò accettarmi
Con tutto quello che mi resta
per salvare quel me sano dal me perso che mi abita dentro la testa
26/05/25
Diritto esistenziale
Il fatto fu un unicum nella storia contemporanea. La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, formulata nel 1948, usata poi come fonte d'ispirazione, punto di riferimento e mai modificata, fu a un certo punto presa e... aggiornata!
A chi oggi è qui in ascolto il motivo di tale aggiornamento non suonerà certo sensato, né tantomeno ragionevole. Ma per la gente della mia epoca, invece, l'aggiunta di cui sto per rendervi addotti è una questione essenziale. Di portata, se vogliamo essere ancora più precisi e onesti: esistenziale.
Ai diritti come quello all'uguaglianza, alla non discriminazione, alla vita, alla libertà, alla sicurezza, alla non schiavitù, ma anche alla libertà di movimento e residenza, al matrimonio e alla famiglia, al diritto alla proprietà, all'associazione pacifica, e a quelli sociali, economici e culturali, così come ai diritti al lavoro, alla libertà di pensiero ed espressione e credo religioso, ecco vedete, a tutti questi si aggiunse il decisivo, vitale e intollerabilmente ormai non più prorogabile, diritto a...
Io vi guardo. Vi guardo e in mia coscienza immagino già il vostro stupore, il disagio, l'indignazione che potrebbero seguire a questa mia rivelazione.
Ma vedete, il pallido riflesso di ciò che diventerete in futuro, e di quel che un giorno percepirete come bisogno umano primario, scavando a forza la piramide di Maslow per avvinghiarne saldamente le basi e non mollarle più, forse potrebbe farvi accettare l'idea che sto per pronunciare. O quantomeno, potrebbe non farvela andare di traverso.
Sì perché è da questo vostro senso di disagio costante, che provate anche ora ascoltando le mie parole, costretti ad attendere che io arrivi a un dunque rivelandovi di questo fantomatico nuovo diritto, mentre accarezzate come fossero una seconda pelle i vostri cellulari attirati dalla possibilità che vi promettono di una fuga verso un altro posto che non sia qui e ora, verso altre discussioni, altre facce e voci e persone, ecco è da tutto questo che quel nuovo diritto, in futuro, prenderà forma. Per questo, e per molto altro ancora, verrà scelto di inscrivere nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani anche, che ci crediate o no, il diritto a...
Mi è venuta in mente una cosa. Solo un attimo ancora. Un attimo di pazienza. Perché non approfittarne una volta tanto? Di pazienza, dalle mie parti, non ce n'è proprio più, manco nei vocabolari. Ma qui abbonda ancora, vero? E dunque io vi dico: siete ancora in tempo, sapete? Ancora in tempo a non farvi trascinare via dalle distrazioni, dall'evitamento dei vostri cari, dalla fuga deficiente da voi stessi.
Perché voi non vi rendete conto di come sarà triste un domani non parlarsi più a voce, di come sarà non essere più in grado di esprimersi compiutamente senza l'aiuto di un Intelligenza Artificiale, di come sarà orrendo trovarsi sul baratro di una crisi di panico e d'identità, soli di fronte a noi stessi, a causa magari di una batteria scarica, del credito per far funzionare il 9G esaurito, o di un banale blackout perché l'energia serviva a qualcuno che stava interrogando i computer quantistici dell'Antartide per farsi generare una nuova puntata di Uomini e Macchine di MarI.A. de Filippi , quando insomma l'unica voce a rimanere sarà la vostra, quella interiore, quella che abbiamo dimenticato di avere.
Direi che è il momento. Sì. È proprio il momento...
Ecco cos'abbiamo dovuto aggiungere, alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: il diritto... all'intrattenimento. Un articolo che rappresenta, a mio parere, nero su bianco, la totalizzante sconfitta di ciò che, in definitiva, ci costituisce in quanto umani: il nostro stesso pensiero. Il cogito ergo sum che è madre e padre di ogni nostra personale intenzione, dAll'idea più modesta al progetto più ambizioso.
Abbiamo esultato per il libero accesso, gratuito e globale, alla rete, per poter rimanere connessi sempre, per aver garantita la fuga dai nostri odiosi impicci. Abbiamo lottato, riempiendo le piazze digitali di avatar armati di like e commenti pieni di gif incazzose, per calmierare il prezzo dei servizi di streaming che sono diventati sacri come qui lo è il vostro pane quotidiano, e per poter aggiungere strati di spazi virtuali nei momenti improduttivi del tempo libero, di cui tanto non sappiamo più che farcene, così da non doverci mai più rendere conto di quanto siamo diventati soli e muti e sordi, a noi stessi, prima ancora che con tutti gli altri.
Ora ci pare di essere felici, a noi, nella nostra epoca. Ma voi sapete la verità. Voi avete ancora tempo. Avete ancora volontà. E ci tenevo a dirvelo. Finché mi resta un barlume di ragione. Finché non torno al mio futuro, al mio garantito diritto all'intrattenimento.
21/05/25
Omaggio
Maggio come sei sfacciato!
Maggio ti guardo in mezzo ai campi e sei davvero esagerato.
Maggio di petali belli che esplosi,
che maggio per loro è ormai troppo tardi,
maggio verde che brilla come i petardi
di un Capodanno a Napoli che quello no, non te lo scordi.
Maggio caldo, maggio seducente,
maggio a volte sei pure bollente.
Maggio di cosce nude e corpi che fanno l'amore nelle tende,
maggio eccitato,
maggio che va un po' via di testa,
maggio che ha un orgasmo,
maggio in tempesta,
maggio oh stai calmo che qui ci vola via la tenda,
maggio fermo un attimo, mi rimetto almeno la mutanda!
Maggio demente, maggio spaccone.
Maggio galletto che alza la cresta
maggio perfino di gradine in testa
maggio porca puttana che gran cazzone,
mi hai rovinato la macchina, la camporella e pure l'occasione!
Ma tanto, maggio, a te che ti frega?
Che sei maggio bel sorriso, maggio simpaticone,
maggio intriso di bell'allegria per uscire fuori che è già primavera.
Maggio dopotutto... si sta proprio bene
fuori con gli amici, a maggio, a bere la sera.
Maggio magico,
maggio magistrale nel tuo slancio vitale,
maggio di maggiolini in mezzo ai prati
che volano al tramonto, a maggio, nel parco giochi in fondo al viale.
Maggio sei l'infanzia che muove i primi passi,
maggio anche di adolescenti in motorino che fanno un po' i gradassi.
Maggio vorrei tanto che tu non passassi,
perché poi dopo maggio le stagioni della vita van via
e tu ricominci, rifiorisci, rinasci,
e noi un po' ti odiamo perché non ci capisci.
Maggio, maggio che ti ho appena cantato.
Maggio arrivi e già te ne sei andato.
Maggio, che mese, che mese sei stato!
Sai maggio, io spero ti sia almeno piaciuto
questo pezzo breve, maggio, un po' improvvisato.
Maggio ti lascio allora con un saluto,
tanto mi aspetti il prossimo maggio,
tu giovane e bello e assai risoluto,
e io con quell'anno in più che tu non avrai vissuto.

















