La sera facevamo lo stesso le ore piccole, per quanto i genitori ti permettano di fare tardi a undici anni, perché eravamo in vacanza, ma poi ci alzavamo all'alba, appena prima, per prendere le bici e salire verso Santa Libera con l'aria fredda della notte in faccia, i copertoni delle mountainbike che correvano sul ghiaino, sotto i castagni del montecio, discesa veloce, sottopassaggio, fuori di nuovo, zona centro giovanile, centro paese, ponte e campi da tennis e su, alla chiesetta e giù, dalle biciclette.
Mancava poco, pochi giorni prima di riprendere scuola, e anziché dormire ci avvicinavano alla Casa del Signore quasi in punta di piedi, il cielo scuro, il portone in legno pesante, poi uno spiraglio, e dentro le luci delle candele, la litania degli anziani che avevamo imparato a riconoscere, sempre gli stessi, pochi, ostinati.
Prendevamo gli ultimi banchi, defilati, qualcuno si voltava un momento, chissà se chiedendosi chi fossimo, o che ci facessero due ragazzini di forse dieci o undici anni, lì, alle preghiere dell'alba. Noi sapevamo solo che l'avevamo scoperta per caso, questa storia della liturgia delle ore, della novena, queste preghiere che sembrano un canto infinito, un'ipnosi, una meditazione collettiva da fare a Dio prima dell'aurora.
Eravamo andati a curiosare con l'idea che uscire in bici che era ancora notte aveva un qualcosa di sinistro e magico, e in effetti anche raggiungere la funzione in collina, in quel posto così raccolto e umile, diversamente dal duomo, lo rendeva tale. Un po' pregavamo, o meglio, io pregavo, non so il mio amico, ma per lo più ascoltavo e osservavo quasi facendomi cullare, strizzando gli occhi per rendere le luci simili a scintille, chiudendoli del tutto per un po', e poi riaprendoli di soprassalto per paura di addormentarmi e farmi richiamare. Era bello starsene lì, in quel luogo sospeso nella notte, assaggiando una calma diversa da tutte le calme che avevo provato prima. Anche perché, a undici anni, di stare calmi non ti passa neanche per la testa e lo fai se ti ci costringono, se devi stare buono, fermo, al tuo posto, in silenzio, attento, senza distrarti, insomma in tutti quei modi che ti mandano al manicomio.
Ma lì, quelle mattine, accadeva una specie di incanto, era come nuotare al mare, raggiungerlo correndo sulla sabbia bollente e non vedere l'ora di buttarcisi dentro, era starsene per un attimo a trattenere il respiro, coi rumori attutiti, lontani, la luce distante e il mondo fuori, fuori, ad attendere la tua riemersione.
Usciti e riprese le bici, riemersi dal fondale della chiesa, si tornava a casa che era ormai giorno, l'incantesimo spezzato, il senso di quella parentesi via via sempre più perso, insensato, senza sapore, pedalata dopo pedalata, tanto che, ci si dice, Sai cosa? Domani magari... Sì, domani... forse andiamo. Ma forse anche no!
E così infatti, alle preghiere dell'alba, non ci saremmo mai più andati, mai più capitati, dopo quei tre, quattro giorni di fine estate che si annunciavano, almeno per me, come gli ultimi frammenti di fede, quando ancora la religione cattolica, le messe, le preghiere e Dio, erano una forza che potevo sentire, come un timore, un richiamo severo e ultraterreno di una tradizione che sapeva influenzarmi.
22/09/25
Novena
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento
Vuoi parlarne? Lascia un commento!
Ti piace quel che hai letto? Condividi sui social!
Non ti piace? Fa' come sopra! ;)