31/10/25

Madre - Racconto Horror per Halloween

Buondì cervelli, e buon Halloween!

Oggi, come promesso, vi propongo un breve racconto dalle tinte horror nato da uno dei vostri suggerimenti. Un paio di settimane fa, se ricordate, vi ho proposto un gioco: lasciarmi un commento indicando Chi, Dove e Cosa, da cui io avrei dovuto trarre una storia. 

Ringrazio perciò fin da subito i partecipanti, ovvero: Franco Battaglia, Bruno, friulisulblog2 e Sinforosa e vi svelo che, tra diversi spunti, è stato scelto quello di...

Bruno, che ha scritto:
Dove: in un buio canale fognario.
Chi: un gruppo di giovani che si svegliano senza sapere come sono finiti lì.
Cosa: le acque stanno salendo e strani lamenti vengono dalle tenebre. A breve tutti potrebbero essere sommersi.




Madre

"Ma... quello?"
Seguo il suo dito. Un'ondata di schiuma sbatte il corpo contro i gradini della scala di sicurezza. È rivolto a faccia in giù. Non riesco a riconoscerlo. Il giubbotto catarifrangente compare e scompare tra le acque nere. Vorrei dire qualcosa, ma le parole mi muoiono in gola, assieme a ogni buona intenzione. Come facciamo a tirarlo fuori? 
"C'è Luca!" dice Andrea.
Luca sta scendendo, torna da noi saltando i pioli, scivolando giù per la scala del pozzetto.
Mi riprendo. Un filo di speranza. "Allora?" chiedo appena tocca terra. 
"Niente?!" aggiunge Andrea.
Luca ansima. Riprende fiato. Fa segno di aspettare un attimo. Poi osserva. "Cazzo, sale di brutto!"
"Forse si è otturato il depuratore?" chiedo.
Non risponde. La luce va e viene.
"Ma quindi?" lo incalza Andrea. "Si esce o no?"
Luca dice: "No. Troppa acqua fuori. Si è allagato tutto."
"E se spingiamo in tre?" propongo.
Capisco la risposta dalla disperazione che gli sfigura la faccia. Poi un lampo, adrenalina, paura: anche Luca si accorge del collega nel collettore fognario. Non vorrei, ma mi giro e lo vedo, lo riconosco perché sta a faccia in su, ora, col volto gonfio, una maschera bianca che squarcia le correnti. 
"Paolo..." la voce strozzata di Andrea è una pugnalata al cuore.
Com'è che ci siamo infilati in questa situazione? Un collega è appena morto annegato e noi stiamo per fare la stessa fine.
Andrea scatta verso la scala e inizia a salire. Luca tenta di prenderlo, di afferrarlo per la caviglia, "Non serve, è tappato!" gli grida, ma l'altro è più giovane, più fresco, nel panico, ed è già a diversi metri da noi.
"Dai! Proviamo in tre, ce la facciamo, ce la facciamo!" urla, senza fermarsi.
Non so perché, ma capisco sia tutto inutile. In testa ho l'immagine, molto chiara, della tempesta. Delle strade allagate. Delle auto sollevate e trascinate. Aprire il tombino è impossibile, ma anche riuscendo, finiremmo investiti da un getto che ci farebbe precipitare per diversi metri. Un'altra brutta fine.
"Perché cazzo siamo qui?" fa Luca, frustrato.
Me lo chiedo anch'io e non so spiegarmelo. Abbiamo ignorato la più idiota delle precauzioni. Possibile mai?
"Senti." mi dice. "Dobbiamo provare dall'altro accesso. Qui si rischia col backup di ritorno. Sta salendo troppo in fretta. Si allaga tutto."
Sono d'accordo e dobbiamo darci una mossa. "Torna giù! Dobbiamo andare dall'altra parte!" provo a farmi sentire, ma Andrea sembra non volerne sapere. Lo richiamiamo più e più volte e lui continua, testardo, lo sentiamo, a imprecare contro il tombino, bestemmiando.
"Oh, io vado. Cazzi suoi." dice Luca, e prende a correre lungo il canale, lasciandomi lì, ancora bloccato, indeciso sul seguirlo subito, oppure sul tentare prima di tirarmi dietro Andrea, che è solo un ragazzo.
"Qui ci lasci la scorza, muoviti!" fa Luca. 
Suona come un ultimo avvertimento. Sono il suo Andrea. Appena vedo la luce della sua pila sparire, parto. Non voglio stare solo. Perciò corro. "Aspettami" faccio, e metto distanza tra me e l'annegamento, tra me e la faccia inghiottita dalla fogna, una faccia familiare, una faccia buona, una faccia che non meritava tanta bruttura. Corro che mi sento un vigliacco a lasciarmi Andrea dietro. A un certo punto rischio pure di scivolare. Perdo aderenza. L'acqua ha preso anche il camminamento. Il canale non tiene più e il flusso esonda di pioggia, fango, piscio e merda, detersivi, scarti industriali. Però rivedo la torcia. La luce in fondo al tunnel, come si suol dire.
Sembra un nuovo collettore fognario, più piccolo, eppure il livello dell'acqua è un po' più basso. Luca è lì, lo raggiungo, ma alza una mano, come a dire di fermarmi.
"Che c'è? Che succede?"
Tossisce. Occhi rossi. Sembra gli sia andato di traverso qualcosa. Il canale, a fianco, è un torrente in piena. Un turbinio oleoso e denso. Schizza schiuma maleodorante.
Luca si accascia. "Aspetta..." biascica. Ha bisogno di spazio. D'aria. Non mi vuole addosso.
"Conosco la manovra di Heimlich. Ti è andato qualcosa di traverso?" azzardo.
Fa di no. Tossisce ancora. Ho i piedi bagnati. Merda! L'acqua sale anche qui. Un miasma insopportabile. Cerco di capire se c'è un'altra scala. Ormai è quasi sempre buio e la pila in dotazione non è particolarmente potente. Luca intanto ha i conati. Ma che razza di momento è per sentirsi male di stomaco? Il verso che fa, mentre rimette, mi allarma. C'è un che di disperato. Di pericoloso. E prolungato. L'illuminazione che sfarfalla allarga il suo conato a intermittenza.
"Ehi..." mi viene da dirgli, ma non ho idea di cosa fare. Sono secondi senza fine e non riprende fiato. Luca ha il viso rosso, le vene gonfie del collo, si accartoccia nello sforzo, come un tubetto di dentifricio che viene spremuto. Poi gli si blocca la gola, il vomito si ferma, qualcosa gli si è incastrato cercando di uscire. Non respira.
"Ti aiuto, ti aiuto!" faccio balzando alle sue spalle. Devo sollevarlo, cingerlo da dietro, mettere le mani a pugno, una dentro l'altra e premere con forza, più volte, mi pare sia così almeno, appena sotto la cassa toracica, ruotando sullo stomaco, ci sono quasi e lo sollevo, a fatica, mi pare stremato, non collabora, le gambe non gli reggono, inizio lo stesso e spingo, spingo forte una, due, tre volte, con colpi decisi e ogni volta spero sputi fuori e invece sembra stia per esplodergli il collo, ne vedo il rossore, il violaceo pericoloso sottopelle ogni volta che un flash di luce rischiara l'ambiente per un attimo, "Dai cazzo!" mi sento dire, che ormai sono nel panico, mi pare di essere in un film, di recitare una parte drammatica, non sono preparato, forse faccio tutto sbagliato, non ho fatto i corsi di primo soccorso io, che coglione, "Dai! Dai!" ripeto quasi piangendo, e alla fine pare esplodere qualcosa, la sua bocca come lo scarico di un lavandino otturato che finalmente si sblocca, solo che anziché andare in giù va verso l'alto, fuori dalla bocca, lo sento stendersi per tutto il tubo digerente, non so, mi dà quest'idea assurda, ma almeno Luca ora tossisce e respira, lo lascio, respiro anch'io e...
L'ho visto.
Gli è uscito da lì.
E anche Luca se n'è accorto.
E allora indietreggiamo d'istinto. Ci incolliamo alla parete. Sì. Anche lui lo fa. Anche se è a pezzi. Anche se un attimo fa stava per svenire o morire. Cerchiamo protezione l'uno nell'altro, cerchiamo rifugio appoggiati ai bordi del canale, se non serve a niente amen, perché gli è uscito dalla bocca e non ha senso. E Luca, infatti, ora si tocca la bocca. Mi guarda. Gli occhi spalancati. Non si spiega. Me lo chiede senza parlare e io, senza parlare, confermo che sì, quel coso gli è proprio uscito da lì ed è andato giù, nell'acqua, strisciando.
"Ma non è..." gli sento dire. "Era..." fa toccandosi la pancia, la gola, ficcandosi le dita in bocca, sputando bava densa che vedo brillare al bagliore della mia pila.
"Andiamo via, subito!" comando, e lo prendo per mano, non aspetto neanche che sia del tutto in piedi. Lo trascino via, perché l'acqua è quasi al livello dei piedi e o troviamo una scala, o tra poco veniamo trascinati via. Lui ansima.
Attorno a noi, nel semicerchio del collettore, ci sono quattro canali che convergono, tutti stracolmi. Non ci sono uscite.
"Torniamo indietro." dico. "Saliamo sulla scala. Non usciamo, ma almeno siamo in alto. Non può riempirsi tutto il pozzetto."
Luca annuisce, ma mi pare che con la testa sia più di là che di qua. Non è lucido. Spero Andrea mi possa dare una mano a tirarlo su. Rifacciamo allora la strada a ritroso. Corrente alle caviglie. Luci andate. Bisogna stare attenti e reggersi ai bordi, in qualche modo, perché se si scivola è un attimo venir trascinati. Stringo la mano di Luca e lo incito a proseguire in fretta. Mi accorgo del fetore. Ero così agitato che non ci avevo più fatto caso. 
"Mi ricordo."
Luca si ferma.
"Cosa? Che fai?" Il fragore delle fogne è assordante. "Dai!" provo a tirarlo.
Non ne posso più. Voglio salire. Andarmene. Mi serve un punto sicuro. Alla svelta! Ma lui si pianta.
"Siamo venuti qui noi." dice, senza muoversi.
"Cazzo non c'è più tempo!" gli urlo in faccia. Non so quanto ancora possiamo stare qui, ma io non ho intenzione di fare la fine di Paolo. E poi penso al backup di ritorno. L'ha detto lui. Se arriva, ci troveremmo un muro d'acqua addosso.
"Sì." continua, impermeabile alle mie insistenze. 
Poi guarda in su. Apre la bocca. Ancora mi pare di sentire quel rumore di tubo. Di ingorgo. E non è la fogna. È proprio lui. E rimette ancora, ma non si piega, non si scompone, semplicemente sta: eretto, dritto, come un palo, come una ciminiera che sputa fumo, e proprio così si vomita addosso, in posa, e forse è per il buio, anzi no, è proprio che è nero, come caviale, quello che sputa fuori, a palline, centinaia, e le vedo sfumate di verde scuro, e mi allontano, in automatico, due passi indietro, mentre cadono giù, a terra, in acqua e sono girini, si muovono, con le code, e sono...
Corro. Io corro. Cazzo. Merda. Corro. Via. Neanche ci vedo. Basta che mi tengo il muro vicino. Basta che vado dritto. Corro anche se forse scivolo. La scala non è lontana. Magari vedo la luce di Andrea. Non manca tanto. Corro e neanche penso alla fogna, all'acqua, alla merda e al piscio, al muro d'acqua che mi aspetta dietro l'angolo, a me che potrei annegare da un momento all'altro. Penso solo a quella roba che gli è uscita fuori. Che si muove. Che ce l'aveva dentro, ce l'aveva dentro, ce l'aveva dentro! Come uova. Con le code. Come quella roba grossa che gli è strisciata fuori. Poi scivolo e penso Ecco, ora sono morto, brutto coglione, coglione, coglione! invece mi arresto per miracolo, quasi spaccandomi i gomiti, ammaccandomi la schiena, però mi fermo.
Respiro. Mi concedo il lusso. Mi rialzo e riparto. La pila è partita. Ha preso acqua. Ma un po' ci si vede e... la scala. Sono alla scala! Ci arrivo come un treno. Fanculo l'acqua, quasi alle ginocchia. Le scarpe zuppe. Mi arresto aggrappandomi ai pioli metallici. Ci sbatto sopra. Acciaio gelato. Ma sono sollevato.
"Andrea!" ansimo. "Vengo su!" e mi arrampico. "Andrea!" grido di nuovo. Spero di vedere la sua torcia ma non c'è risposta. Allora mi fermo un secondo. Per riprendere fiato, ancora un po', e per... piangere. Piango. Sfogo. Di paura. Ho visto troppo. Tutto così veloce. E l'acqua sotto è un ruggito, un risucchio, mi sa che è meglio salire di più, un altro paio di metri, qualche piolo ancora e la scala trema. Trema.
Mi stringo forte appena in tempo, perché tutto il canale, mi sa, ora è invaso potentemente da un fiume: il backup di ritorno. Ma è impossibile che si tappi tutto. No? Saranno chilometri di fognature, di canali, di tubature. Mica può riempirsi tutto. Qui c'è aria. Qui rimane sicuro. Però intanto salgo ancora un po' e chiamo. "Andrea?"
"No, no, no..." lo sento.
Sono sollevato. "Sono io! Stai bene?"
"Do lo re." mugugna.
"Che hai?" Vorrei vederlo meglio. Ho le sue scarpe in faccia. "Riesci a fare luce?" 
Sembra di no. Spero non mi cada addosso. Provo a scavalcarlo. Si è legato col moschettone di sicurezza. Furbo. Dovrei farlo anch'io. Gli arrivo vicino e accendo la sua pila, fissata ad altezza spalla. Ha il viso pallido. "Oi!" dico, schiaffeggiandolo. Occhi febbrili. Che non mi vedono. "Dove hai male?" 
Sta per articolare una risposta. Muove la bocca, ma non esce un suono. Poi di nuovo... come un tubo otturato. Stacco la torcia, lo scavalco giusto in tempo, gli sono sopra, e anche lui, come Luca, erutta un getto di quella roba. Andrea molla la presa e penzola, sbattendo la testa, tenuto alla scala dal moschettone, legato ai pantaloni. Mi arrampico fino alla fine della scala. Il tombino. L'uscita. Spingo, con tutte le forze. Di nuovo vedo l'immagine dell'acqua fuori. Perché? Perché cazzo siamo scesi qui se sapevamo che era così? Ancora non me lo spiego. E spingo fino a scorticarmi le mani, a bruciarmi le ginocchia, i muscoli delle gambe, la schiena, tutto. Ci provo anche con la testa, tirando craniate. Poi la scala vibra. Uno strappo. Un altro. Guardo sotto e vedo Andrea sparire nel buio. La sua sagoma come un sacco nero, giù per il pozzetto, dritto nel collettore.
Mi pare che non abbia più senso niente. Mi cala una stanchezza infinita. Un'arrendevolezza che mi inebetisce. Sono stremato. Nauseato. Ho... male. Male! Un male cane. Crampi che mi smuovono la parete addominale. Muscoli della pancia che ondeggiano infrangendosi alla base della cassa toracica. Altro che stanchezza. Ora grido di dolore al mio mare agitato. Nessuno mi sente. Mi aggancio a un piolo col moschettone. Tremo tutto. Mi risale un rutto spinoso. Il palato irritato. Anche i denti mi vanno a fuoco. Poi un pugno in pancia. Mi manca il fiato. Tutto mi si contorce spingendo dal centro. E risale. Viscido. Io lo vedo, nella mia mente. Mi spinge gli occhi fuori dalle orbite. Non un fiato. Vedo più nero ancora, non per il buio. Mi si tappano le orecchie. Dinamite in gola. La miccia è accesa. Manca poco. Molto poco. Qualche momento ancora. Ed esplodo, srotolo tutto l'esofago in fuori, forse anche lo stomaco, l'intestino, mi auto espello, per quel che ne so, ma invece è chiaro, riprendendo fiato e ossigeno, tornando lucido, adrenalinico, nel panico della sopravvivenza estrema, che ho rigettato il mostro. E d'improvviso so anch'io, come gli altri, so e mi ricordo, perché sono qui, qui nonostante il tempo, nonostante il pericolo, nonostante sia il posto più sbagliato per un uomo.
Il dolore lo conferma: c'è una vita tra le mie viscere. Lui me l'ha donata e io, ne sono madre.


2 commenti:

  1. Risposte
    1. Felice ti sia piaciuto!
      Il tuo spunto comunque era una bomba, ma mi avrebbe richiesto molto più tempo per riuscire a renderlo bene. Non sono neanche sicuro l'horror sia il genere più adatto. Ma lo userò di certo, vedrai. 🫡

      Elimina

Vuoi parlarne? Lascia un commento!
Ti piace quel che hai letto? Condividi sui social!
Non ti piace? Fa' come sopra! ;)