20/10/25

La dama delle tre

Rientrò a casa che erano le tre del mattino e sua madre era lì, nel buio del salotto, rischiarata appena dallo schermo del pc. Tutto ok? chiese. Sì, rispose Giulia, infilandosi in camera e chiudendosi la porta alle spalle. Avrebbe potuto risponderle qualsiasi cosa, tanto il suo era un automatismo. Non si interessava veramente di lei da anni. Era come passare davanti a una fotocellula attivandone il meccanismo. 
Quel pc le aveva ammattito il cervello. Tutto il giorno, tutti i giorni, sua madre se ne stava trincerata in casa a giocare a dama. L'assurdità? Non ci guadagnava soldi, né gloria. Non erano sfide reali, online, con persone vere a comandare le pedine. E non c'erano premi, classifiche, nulla. Suo padre non commentava, non aveva pareri al riguardo. Era il peggiore di tutti. Pareva non accorgersi e forse quasi gradire, in effetti, di avere un automa, lì, bello a sua disposizione, fintanto che questo provvedeva alle faccende domestiche, a cucinare, a fare la spesa, a lavargli i vestiti. Lui, l'uomo di casa, il padre padrone che però non concordava su questa definizione, si nascondeva dietro la facciata del sessantottino tollerante di tutto, aperto, garante della libertà altrui, per la parità dei generi, moderno, ma non si era mai premurato di capire cos'avesse la moglie, di offrirle un aiuto. 
Comunque, dopo aver imprecato quel tanto che basta per levarsi il nervoso, Giulia si abbandonò al letto e si accese una canna. Quelle, suo padre, gliele aveva sequestrate, i primi tempi, ma poi Giulia aveva scoperto che il bastardo se le fumava e allora avevano litigato. Lei lo aveva atterrato schiantandogli addosso anni di risentimento, rovesciandogli in faccia l'ipocrisia dei suoi stupidi comportamenti, facendolo vergognare, mettendolo a tacere con la forza delle argomentazioni a cui uno così, intrappolato in quel suo contorto ruolo di rivoluzionario col culo comodo sul cuscino, non poteva assolutamente controbattere. Quell'ometto in realtà non era abituato a qualcuno, specie a una donna, che giocasse il suo gioco e che fosse capace di tenergli testa. Di vincerlo addirittura. Aveva perciò mollato sul fumo, così come su molte altre questioni. E a Giulia era salita la rabbia, perché pensava alla pover'anima di sua madre, una che non sapeva farsi valere in niente e perciò soccombeva e pian piano, scompariva. Lei no: non si sarebbe mai fatta annullare da nessuno, tanto meno da un uomo, da un marito.
Chiuse gli occhi e si abbandonò alla piacevole leggerezza che ora le faceva formicolare la nuca. Ripensò a come Elio l'aveva guardata, di nascosto, tante volte, anche facendosi beccare dal suo ragazzo, troppo molle per dire o fare qualcosa. Pensava a lui e avrebbe voluto sfidare quella sua sfacciataggine. Lasciarla sfogare. Avrebbe desiderato che Elio l'avesse presa, magari, per esempio quand'era andata in bagno, mentre tutti erano di là a bere, non sospettando niente, ma avendo la perfetta possibilità di percepirli, di beccarli in fragrante. Se lo sentiva addosso, Giulia. Sentiva il desiderio di Elio scorrerle sotto i vestiti, e desiderava di essere presa in contropiede da lui, di essere spinta a fare qualcosa di sporco e sbagliato, che andasse contro i suoi principi. Non avrebbe mai tradito Mattia, ma nella sua fantasia, sola nella sua stanza, lo tradiva eccome. Voleva deludere le aspettative, voleva rinnegarsi, rompere con la parte che aveva scelto di calzare così bene. Si sentiva stranamente viva quando immaginava di non dover più aderire ai propri principi, quando sbagliava tutto, quando si mandava al diavolo.
Andò in bagno a fare pipì. Si pulì, si struccò, si lavò i denti. Il chiarore del pc, in salotto, rimbalzava ancora sull'uscio della porta, mentre il tenue rumore delle pedine, che si mangiavano a vicenda sulla scacchiera digitale, scandivano la vita di sua madre con un ritmo impietoso. Un tempo avrebbe preso quella donna per la testa, le avrebbe stretto la faccia tra le mani e l'avrebbe scossa urlandole Datti una cazzo di svegliata! ma quell'idea, quell'istinto furioso, si era placato con gli anni. Ora di anni, Giulia, ne aveva venticinque, e presto avrebbe lasciato l'appartamento. Presto sarebbe stata davvero indipendente. Non aveva più tempo per fare da babysitter a sua madre e a suo padre, né la voglia, soprattutto. Tanto non si potevano salvare. Erano materiale umano da professionisti, quei due sciroccati, come tanti della loro generazione. E il colmo era che proprio loro, che ne avevano così bisogno, non credevano affatto alla possibilità di curare la propria mente. Non credevano che anche quella era una questione di salute. Giulia perciò doveva far quel che poteva fare, ovvero: badare a sé, salvarsi, uscire dalla trappola. 
Tornò in camera e aprì la finestra. Le era passato il sonno, ma il cielo fuori, fresco di fine estate, le dava una bella sensazione di quiete, di riposo. Lontano, tanto era limpido, si vedeva la sagoma del monte Summano, proprio lì, al centro di tutto, appuntito come un vulcano. Chissà quale altra vista l'attendeva, nel futuro. Presto ci sarebbe stata una nuova casa e così la sua stanza, la sua finestra, il suo panorama, sarebbero stati completamente diversi. Come la sua vita, forse. Come quella persona che magari, se se lo fosse permesso, avrebbe anche potuto prendere il suo posto, calzando panni diversi.



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