Non c'è cosa più brutta, credo,
dell'abitudine. Letale e spietata,
perfetta sposa delle menti umane nel tempo,
nella natura, nelle situazioni; non c'è uomo che ne sopravviva.
Muori perché Senti il ticchettio sotto ai polpastrelli
delle lettere che si consumano, assieme
al tempo, rintocchi d'orologio
che ti separano dalla vita.
Lavori, il dovere: la meta.
Muori perché Assapori la pelle liscia delle sue cosce,
brividi umidi fino alla sua intimità...
E ancora, e ancora, ancora vedi quelle non tue,
giovani bramate da lontano,
pulsioni che un giorno paghi, stufo di lei.
Muori perché Vedi il lago piatto del futile, superficie
di superficialità che si spande a colpi di
mode vintage-retrò a vite alte di
vite mai all'altezza, basse come la tua. Scatti
di reflex che racchiudono felicità, finta.

Muori perché Tocchi il tuo amico morto, con
le sue idee morte. Gli occhi spenti suoi
e i tuoi che bruciano salati, mentre uomini
macchine sparano i colpi di quegli
altri uomini che sparano ordini. A che pensano?
Muori perché Senti il tanfo della stanzina stretta,
decine e decine di stracci e ossa sudate imbacuccate
da pelli ustionate e cadenti.
Strisciano tutti, uccisi dalla fame e dai gas delle docce,
aperte con la stessa innocenza di quelle che piangono acqua, non sangue.
Di abitudine, è certo, l'uomo si uccide sempre.
di C.B