16/06/15

Jurassic World spara razzi dal culo.

Guardando trailer e spot tv, quella corsa dei Velociraptor alleati col tizio in moto pareva la cosa più stupida che si potesse fare. Cioè... Velociraptor ammaestrati? Poi guardi il film e Jurassic World fa così schifo che d'un tratto l'allegra combriccola a confronto di tutto il resto pare una nota più che positiva.
Ah ah ahhh, non hai detto la parola magica, ah ah ahhh non hai detto la parola magica, ah ah ahhh, ah ah ahhh... la parola magica per questo film è schifo e il perché è presto detto.

Intanto non c'è il ciccione, quello che ha incasinato il parco nel primo film. Ed è importante perché tutta quella gran situazione di sterco lì, a Jurassic Park, aveva senso grazie a lui. Certo, scherzare con madre natura è rischioso e non giochiamo col fuoco e attenti che qui non si può manco stare tranquilli che se uno Pterodattilo caga muori fracassato per l'impatto; però era il ciccione la vera causa del primo fallimento del parco. Dopodiché, levate le tende limonando duro un Dilophosaurus, i problemi si sono puntualmente succeduti causa delle cappelle inenarrabili. 
Oggi il Jurassic World, l'enorme attrazione coi dinosauri veri, esiste davvero ed è una macchina da soldi. E' tecnologicamente avanzatissimo, super organizzato, perfettamente attrezzato, e insomma, come diceva John Hammond (you know nothing John Hammond), qui non badiamo a spese. Va addirittura così bene che la gente, negli anni, arriva ad abituarsi all'idea che esista quest'isola coi mostri, tant'è che finisce col prenderli a noia. Soluzione? Nuove attrazioni, nuovi dinosauri più grossi, più cattivi, più denti e più wow! Allora giochiamo ai piccoli genetisti e creiamo qualcosa di più stronzo del T-Rex! Sì, che bell'idea. E come lo chiamiamo? Megazord Rex? No. La mimetizzazione c'è, la super intelligenza pure, la visione termica presente, il gps ce l'ha, google translate ultimo modello è installato, ma i razzi dal culo non li spara ancora, teniamoci sto nome per il prossimo modello. Facciamo Indomitus Rex intanto?

La premessa allora è che il nuovo arrivato è parecchio furbo, e noi va bene, inarchiamo un attimo il sopracciglio ma mandiamo giù. Una volta accettata è quindi chiaro che la sua fuga sia inevitabile, perché è lì che vuole parare il film: un bestione scatenato in un parco pieno di visitatori. Il problema è che i nostri fantastici protagonisti fanno una scelta più deficiente dell'altra per sistemare la situazione, e con la scusa che l'Indomitus è costato un patrimonio non lo abbattono andando a perdere più del triplo del costo di sto stronzo con: attrezzature distrutte, decine di dinosauri accoppati, visitatori uccisi, tecnici ammazzati, squadre speciali di sicurezza sodomizzate, dinosauri volanti fuggiti in giro per il mondo a cui nessuno frega un cazzo. Tutto finché non si decide di... vabè, non lo dico ma si capisce.

Glissando sulla trama un po' scema, anzi ricalcata male dagli altri episodi, uno può pure dire che sia il resto a salvare Jurassic World. Purtroppo per noi però... ah ah ahhh, non hai detto la parola magica, ah ah ahhh... c'è lo schifo pure qui.
Personaggi non troppo interessanti, se non appunto Lord Star dei Guardoni della Glassa che ci grazia con una parte vagamente accattivante. Assieme a lui ci fracassano le gonadi due marmocchi deficienti, una zia e direttrice del parco rimbambita (ma di soddisfacente gnocchezza), il nero francese di Quasi Amici che sta lì a ridere e farsi i cannoni quando non c'è proprio un cazzo da ridere, e il classico militare stronzo che farà una morte brutta bruttissima.
Ambientazione troppo luminosa, poco paurosa, atmosfera priva di pathos e ansia, non aiutata affatto dalle musiche, in certi punti davvero ridicole, e nemmeno dai dialoghi, noiosi, superficiali e spesso affossati da alcune battute più fuori luogo dei raptor col bluetooth. E quando verso il finale si spera in un tripudio di sangue e morte, che a sto punto facciamo che i dinosauri vincono e sti coglioni si fottano, niente. Abbiamo la lotta finale che tutti i bambini scemi vorrebbero vedere (me compreso): T-Rex vs Indomitus Rex. Maddai! Jurassic Park contro Jurassic World. E poi venitemi a dire che sbaglio a far paragoni!

Concludo con una domanda.
Davvero vi è piaciuta sta porcheria? Credo che la mia voglia di fare il paleontologo sia stata ammazzata per sempre.

12/06/15

Tutti li usano, nessuno sa come usarli: #hashtag?!

E' un po' come quando sei bambino e il pisello lo usi per pisciare, senza sapere ancora che quel coso lo puoi ammazzare di pugnette divertendoti come un pazzo e perdendo diottrie che neanche Bocelli. O come quando sei una donzella giovine e ingenua, e non conosci il reale potere della tua giordana: piegare il mondo ai tuoi piedi. Insomma, oggi si parla di hashtag, quelle #parole #scritte #così, precedute dal cancelletto, utilizzate da mezzo mondo in ogni social possibile e immaginabile e quasi sempre in maniera sbagliata, così tanto perché fa figo.

Vi sarà capitato di sicuro di vedere le foto dei vostri amici in festa o al mare o a mangiare chissà che bontà introdotte da miliardi di parole una di seguito all'altra farcite di #, no? Il tutto mentre voi, poveri sfigati, ve ne stavate sul divano a sfondarvi di serie tv e nutella grattandovi via i brufoli e pensando Ma che cazzo fanno 'sti coglioni con tutti sti cancelletti? A me, in quanto sfigato, è capitato. Motivo per cui m'è venuta voglia di scrivere qui, spiegandovi che gli hashtag non sono un metodo per rendere più fighi i vostri stati, ma un sistema di comunicazione e condivisione eccezionale.

Come si usano e a che servono?
Si usano in maniera semplicissima: se sei in un social come twitter, facebook o instagram, per fare qualche esempio, scrivi una parola preceduta da un cancelletto, tipo #Culo. A che serve? Serve per prima cosa a etichettare il tuo contenuto sul web, in particolare in quel preciso social in cui l'hai scritto, e in secondo luogo a fungere da aggregatore. Cliccando su quel #Culo infatti, si verrà reindirizzati a tutti i post di tutte le persone che hanno condiviso qualcosa utilizzando l'hashtag #Culo.  
Importantissimo allora anche capire praticamente come si utilizzando. 
Ha senso scrivere, postando una foto dei tuoi progressi in palestra, un abominio simile a #palestra#fitness#workhard#nonsimollauncazzo? No, perché scrivendo una parola dietro l'altra senza separare gli hashtag tra loro, si annulla tutta la funzione di condivisione ed etichettamento. Mostrerete efficacemente però di essere dei coglioni che ne fanno uso solo per sentirsi fighi. Fighi di che, poi, non lo so proprio. Detto questo, è chiaro svolgano anche una funzione di ricerca. Andando sulla barra di ricerca di Fb per esempio, digitando un hashtag, vedrete tutto ciò che conta riguardo il determinato argomento. Questo sì è figo!

Io come li sfrutto?
Ne impiego parecchi su twitter, questo il social che ne ha sdoganato la funzione, per dare visibilità ai contenuti che twitto, tenendo d'occhio le tendenze del giorno e facendo in modo che i miei cinguettii siano visti da più persone possibili tra quelle intente a cercare quel preciso hashtag. Ne ficco poi un sacco nei post del blog e nei titoli dei progetti, come #Lanottedeidesideri, #OpenMinded e #MusicalMente, per spingerne la viralità, e se non sapete cosa sia quest'ultima chiedete a zio Gugol!
Infine, lo sfrutto oltre i confini del web (Davide smettila di vantarti che non sei nessuno) con #RaccontoVolante, un progetto che potete trovare cliccando lì sopra o anche nella barra laterale qui nel blog, e lo faccio nel senso che chi trova un racconto volante, chi nota questi foglietti con la scritta preceduta dal cancelletto, dovrebbe essere spinto non solo a leggere il racconto, ma anche a cercare l'hashtag su internet, andando quindi a finire proprio nella pagina del progetto capendone poi il funzionamento e scorgendo tutti i post riguardanti #RaccontoVolante scritti, trovati, fotografati e condivisi dagli altri.

Ecco, a questo servono sti cazzo di cancelletti davanti alle parole. Ora perciò fatemi il favore di usarli come si deve, non #mettetevi#in#mostra#per#il#cazzo!

09/06/15

A 90 gradi.

Quando non sai bene di cosa parlare di solito finisci a sparare frasi di circostanza: come va? visto la partita ieri? sentito che ha detto Salviny sul nuovo modello di ruspa efficiente sia in cantieri di sterro che in campi rom? visto che tempo fuori?
Da bravo blogger che non sa di che scrivere allora, tanto vale tirar fuori il tempo, no?
Per chi guarda solo le figure.

Fa caldo. Tutti d'accordo? Casa mia è tipo l'inferno dantesco ma messo al contrario. Parti da sotto, zona garage e taverna, e si può vivere. Poi però sali le scale affiancando le improbabili giacche invernali, ancora lì appese, e cominciano i cazzi. Hanno vita propria, saltando giù dal muro nel tentativo di accollarsi in un morbido abbraccio sudaticcio, sibilando con le zip della cerniera per il disappunto quando fuggi. 
Siamo al piano terra. Le finestre sono aperte, tutte quante, e una brezza sahariana ti solletica le ascelle facendole piangere d'emozione. E' un caldo stronzo ed esprimi troppo ad alta voce il tuo voler possedere un salvifico indumento da beduino, tanto che i giacconi di prima, risentiti, trascinandosi  su per le scale circondati da fiamme purpuree mugugnando come zombie rincoglioniti. Chiudi la porta e pensi sia proprio il momento di segregarli in qualche armadio.
Altra scalinata, si sale. Andiamo in camera mia? La ringhiera metallica che t'accompagna verso l'alto striscia in una ventina di scudisci frustandoti mentre passi. Sciack!, sciack! e ustioni di settimo grado della scala Richter su schiena e polpacci. Ti senti rincoglionito forte. Voi in effetti dalla frase appena sopra potreste intuirlo. E infine eccoci... camera mia.

Il mio covo, la mia bat caverna, la stanza dei giochi di Cervello Bacato Grey, il santuario dello One Piece, la mia massiccia esposizione di trofei per imprese sportive, la mia cameretta del cazzo insomma. Ecco. Balle! Questo è piuttosto il cacatoio di Lucifero, la latrina in cui Belzebù sforna i suoi stronzi radioattivi e tremila gradi centigradi e poi sadicamente si diletta a tirarteli in faccia. Fa, caldo!
Guardatelo questo sgabuzzino. Il parkquet pare piegarsi sotto lingue d'aria incandescente tipiche dei miraggi sull'asfalto bollente che trovi guidando d'estate. Si muove tutto, ti sudano persino gli occhi, o forse è un pianto isterico e disperato, difficile capire. Il letto è a castello, più o meno. Uno, quello inferiore, è nascosto da una scrivania, che una volta rialzata lo fa fuoriuscire, l'altro invece, quello in cui cuocio inconsapevolmente finché mi riesce di dormire, è là in alto a un metro dal soffitto. 
Prova, prova tu a salirci. Ci sono 90 gradi e il legno stesso del pavimento si squarta da terra per stringersi attorno a caviglie e polsi. Ti vuole spingere giù, vuole farti diventare parte stessa di sé. Immaginatemi come Sputafuoco Turner, il babbo di Orlando Bloom sulla nave di Davy Jones di Pirati dei Caraibi, quello che diviene un pezzo d'arredamento delle pareti della nave, senziente ma ritardato. Almeno quello aveva il culo di stare in un ambiente fresco, io sono tipo la sua versione sfigata. No! No maledizione! Devo raggiungere il mio letto, l'apice degli inferi. Agile e accaldato come un orango tango peloso del Borneo abbandonato in una sauna, scatto e agguanto una delle protezioni del letto e faccio forza per salire. Scasso tutto, la sbarra metallica mi piove in testa, vedo banane trotterellarmi in cerchio attorno al capo, svengo. 

Mi sveglio in spiaggia. Sto facendo un piacevole bagno in mare. L'acqua mi rinfresca.
Poi mi sveglio sul serio, stavolta all'inferno. Sono bagnato, come fossi uscito dal mare, ma è sudore. I 90 gradi di questa camera del cazzo m'hanno inculato di nuovo mettendomi a 90. Satana sbuca dal materasso vibrando un pallettone di merda incandescente. Centra la mia faccia ridendo. Meglio non vi racconti com'è stare in pizzeria.

01/06/15

E i biscotti? E i Moz Awards? Vuoi che muoro?

No, non sono morto ma in questi giorni non ho cagato molto né pagina faccialibro né blog, lo so, perdonatemi. E' che ho avuto, in ordine: cazzi di carte da fare per delle firme per delle carte per lo stage universitario, litigate per incastrare orari di lavoro in pizzeria e orari di gioco a un torneo di tennis (sono arrivato al quarto turno, alléz!) e infine... la febbra!

Comunque, negli ultimi tempi è saltata fuori sta storia dei biscotti che voi tutti di sicuro avete sentito in giro per l'internet, e per voi tutti intendo voi possessori di siti internet. Io all'inizio non ci credevo si rischiasse una multazza di simili proporzioni per colpa di un paio di biscotti, ma poi ho visto un sacco di gente cacarsi nelle mutande dalla paura e quindi sono corso ai ripari pure io. Quindi ecco una nuova pagina nel blog, lassù in fondo a destra, quella intitolata Privacy Policy. Cosa ci troverete dentro? Frasi copincollate di cui in realtà conosco forse solo il vago senso, ma che in teoria mi coprono il culo in caso di multe per possesso illecito di biscotti.

Ora una domanda.
Ma la barra dei biscotti, quella che segna l'utilizzo dei cookie e che vi compare in alto appena uno entra nel sito, come cazzo si mette? E' l'ultima cosa che dovrei aggiungere, ma non so come si fa. Aiutatemi. Pensate, ho pure tolto la pubblicità dal sito perché sentivo di voci di mazzette da pagare al sindacato incazzato delle nonne del vicinato che pretende un guadagno sui tuoi. Roba che andava attorno ai 150 euri e che io non posso proprio sborsare, specie se pensate che in un anno circa di banner pubblicitari ho guadagnato la stratosferica cifra di cinque euri! Un pranzo coi fiocchi al McDonald's.

Ma basta parlare di biscotti. Come ve la passate? E' arrivata l'estate da voi? Avete sentito il terremoto in mezzo al mar voi abruzzesi? Siete andati a votare Zayah da bravi veneti? Avete nominato il sottoscritto ai primi Moz Awards di sempre?! No?!?! Allora vi do una dritta: voglio essere votato, e vi costringo liberamente a farlo nelle categorie blog religioso, di cucina e di arte, oppure, se volete sul serio fare i seri e farmi una bella sorpresa, meglio ancora con le categorie blogger dell'anno, cinetelevisivo e di scrittura, che mi piacciono assai. Poi però, fate voi eh! Al massimo se mi diludete, come dice chef Bastianich, vi tiro dietro un po' di cookies!

26/05/15

Fino alla fine del mondo.

La pioggia cadeva sottile stagnando nel fetore di Rubbish River. Carcasse metalliche e imponenti torri d'acciaio e titanio riposavano vigili nel silenzio del suo cimitero. S-451 fu scossa da un tuono: ampia differenza di potenziale, scarica pilota a carica negativa, discendente. Il rombo le invase i sensori. Il boato delle bombe lo assordò. Fuoco, fuoco, rispondere al... scattò sulle gambe, si aggrappò al mitragliatore, premette il grilletto. Vomitò una torma di piombo alle trincee austriache, lordando il buio di sangue e fango.
C'era pioggia, ancora, sottile come la falce di luna ghignante sui loro crani sgraziati. Proiettili nemici frugarono a vuoto sfiorando i loro elmetti. Al riparo! disse Fedele. Strisciarono giù, vermi nel fango, tra gli amici, sanguinolenti alcuni, cadaveri altri. Terreno vibrante di bomba a mano, un lampo che molestò la notte. Si premette le mani sulle orecchie. Fischiavano. Dietro di lui mezzo fossato era ceduto. Continuò a strisciare, Via via via! affogando le unghie nella melma per tirarsi avanti, unghie di lega metallica incastonate in arti meccanici e feriti di ruggine.
Dove si trovava S-451? Quand'era successo che la fine venisse a trovarla? Un rantolo cibernetico le si arrampicò per la gola. Avesse potuto, al sentirlo, sarebbe rabbrividita di paura. Quanti danni riportava il suo involucro dannato? Strinse i resti del traliccio che le stava di fronte. Voleva uscire, arrampicandosi fuori dall'inferno, vedere il cielo. Il bollore al cuore del petto gelò il desiderio di fuga: sistema refrigerante andato, blackout stimato in tre minuti. S-451 sentiva di respirare fuoco. La maschera, cazzo la maschera la maschera ripeté nel panico avvolto dai fumi asfissianti, che mefitici, si trascinavano lungo i bordi delle depressioni amiche per poi discenderli. Se non potevano perforargli la carne, gli austriaci li avrebbero uccisi per asfissia, ammazzando i disgraziati che tentavano la fuga dalla trincea. 
Gli occhi bruciavano, prese l'ultima boccata d'aria buona e scavò avidamente tra i corpi dei soldati. La maschera era tutto. La nebbia calava rapida, una ghigliottina gelida dritta sul collo e terrore sudato che gli graffiava la schiena. Artigliava componenti di corpi robotici, scarti di androidi, vetusto splendore della civiltà tecnologica che fu. Avesse avuto pelle e sangue e umanità vera, anche all'esterno, S-451 sarebbe stata ugualmente al limite, spinta dall'adrenalina a fare l'equilibrista sul ciglio della morte. Afferrò l'ennesimo appiglio, strinse con le dita inumane, uscì dal baratro abbandonandosi al cemento gelido. 
Blackout stimato in trenta secondi. La carica, induzione elettromagnetica, distava centosei metri virgola quaranta. Si mise in posizione eretta, un passo dopo l'altro, le giunture deteriorate. Stimò il momento d'arrivo. Calcolò fosse la fine. Eppure non si fermò. Trenta secondi di vita, di coscienza, di ricordi di un'umanità antica che arrancava verso un futuro salvifico visibile, ma irraggiungibile. Il cuore gli pulsava nelle gambe, negli occhi irritati, nella testa. I polmoni volevano gridare, frustandogli le costole per poter ricevere un po' d'aria. Ma i fumi erano ovunque, erano nebbia nella notte, un velo latteo che copriva di morte la resistenza italiana. La necessità prese allora il sopravvento. Doveva andare in alto, doveva cercare ossigeno buono, non sarebbe morto anche lui là sotto. Si spinse oltre il fossato, uscì allo scoperto, bersaglio perfetto per il nemico spietato. Corse voltandogli le spalle inalando piccoli respiri filtrati da nient'altro che la sua manica lurida. Qualche sparo, di tanto in tanto, riprendeva dal fronte opposto, ma la stesso pallore letale ora lo rendeva invisibile ai propri carnefici. 
Fu il fuoco alleato a sorprenderlo, scorgendo la sua sagoma in corsa. Due colpi, uno alla spalla, uno al centro dello sterno. Cadde in ginocchio, respirò i gas mefitici piangendo lacrime acide. Gli italiani, i suoi italiani, stavano rinforzando le fila. Incontrò di sfuggita, tra i fumi, i loro visi celati dalle maschere. Occhi impenetrabili, glaciali, freddi, inumani, che non lo scorsero nemmeno. Era la sua ora e pensò alla sua splendida moglie e le sue bellissime figlie. Pregò perché il fronte non cadesse tendendo una mano al cielo. Provò, nel suo ultimo istante di vita, a gridare il suo terrore, ma non un suono riuscì a trovar voce. Morì lì, con la coscienza in tumulto e una mano artificiale tesa in avanti, a pochi passi dalla fonte. Quel giorno, con l'A.I S-451, sparì l'ultimo sentimento dell'uomo, il suo ultimo ricordo, e l'ultima traccia di ciò che a sua immagine era riuscito a creare.

21/05/15

Walkman | Maggio

Altro mese, altro Walkman! Che ho ascoltato di bello nel mese di maggio? Quali artisti ho scoperto e che canzoni ho mandato in loop continuo fino a farmi venire l'esaurimento? Sono in cinque e sono tutti qui, uno dietro l'altro. Pronti?

Kaki King
Nata nel 1979 Katherine Elisabeth King inizia suonando per le metropolitane di New York incantando i passanti. Successivamente riesce ad affermarsi arrivando a comporre alcune canzoni per il film Into the Wild e collabora coi Foo Fighters nel loro album Echoes, Silence, Patience & Grace.
Generi? Rock, post rock, folk, sperimentale, indie e compagnia bella. Come sempre, un po' tutto un po' nulla. A me la sua musica ricorda molto i Daughter, per il sound particolare e... la pace.

alt-J
Restiamo in campi simili e parliamo degli Alt-J, gruppetto inglese indie/rock/alternativo. Probabilmente li conoscerete già, che pare vadano molto di moda soprattutto tra gli hipsterssss (fino a non troppo tempo fa manco sapevo che cazzo fossero io gli hipster ma vabbè). Mi piacciono sì e no, dato che alcuni brani li trovo molto noiosi mentre altri non riesco a smettere di ascoltarli. Quali? Arrival In Nara (super preferita in assoluto uau ciao!), Hunger of the Pine e Breezeblocks.

The Chemical Brothers
Questi invece è quasi sicuro li conosciate. Poche parole quindi: il nuovo singolo, Go, spacca! Anche Sammy the Salmon ne è convinto! (guarda il video per conoscere Sammy the Salmon, yo!)

ODESZA
Abbandoniamo del tutto le chitarre e andiamo a conoscere questo duo di musica elettronica. Tanta atmosfera, un suono bello profondo e... un sound irresistibile. Mi sono drogato con It's Only, Memories That You Call e l'orientalissima Kusanagi. Se questo genere musicale solitamente vi fa schifo, credetemi: dategli una possibilità e non ve ne pentirete.


Kygo
Dj che avrete probabilmente sentito per radio con Firestone. Nulla di fracassone comunque, anche qui, come per il gruppo precedente, potrebbe risultare tutto molto piacevole. Molto belle ID-Ultra Music Festival Anthem e Stole the Show.

E per questo mese, niente artista vergogna. Voi di bello che avete ascoltato? Nuove scoperte? Scrivetelo qui sotto e alla prossima!

18/05/15

Open Minded | Volare verso Radio Piterpan (di Carlotta Tripi)

Ed eccoci con un nuovo appuntamento di #OpenMinded! Oggi finalmente si toccherà la categoria lavoro e vi porterò a conoscere un mestiere piuttosto fico: lo speaker radiofonico. A raccontarci di questo mondo c'è allora la mitica Carlotta Tripi di Radio Piterpan, che potete ascoltare accedendo la vostra radio o direttamente da internet cliccando qui.
Pronti a scoprire com'è starsene con cuffie e microfono dall'altro lato delle casse? Tre, due, uno... aprite le vostre menti!

Ciao Carlotta! Intanto ti ringrazio per aver accettato il mio invito. Direi di iniziare dunque con una breve presentazione. Chi sei? Cosa fai? Quanti anni hai (non si chiede ma sono sfacciato)?
Ciao Davide! No, non sei assolutamente sfacciato..ho 23 anni, quindi per ora la domanda è ben accetta! Beh, come già sai mi chiamo Carlotta Tripi, da poco ventitreenne, sono laureata da qualche mese alla facoltà di Lingue, civiltà e scienze del linguaggio. Sono una ragazza normalissima e conduco una vita altrettanto normale, ho appena finito di studiare quindi se questa intervista me l'avessi fatta qualche mese fa ti avrei risposto che gran parte del mio tempo lo passo a studiare, perché effettivamente così è stato per un bel po'. Ho tanti amici, un fidanzato con cui faccio tanti progetti e una famiglia meravigliosa. Ora come ora è abbastanza difficile rispondere alla domanda "Cosa fai?" perché le mie abitudini da un po' di tempo a questa parte sono cambiate, la laurea mi ha dato tanto ma allo stesso tempo mi ha portato via molto; si è concluso un momento della mia vita, iniziato in prima elementare, che mi ha sempre etichettata come studentessa..mentre ora sono qualcosa di più ma per ora nemmeno io so cosa sono. Una cosa che so, però, è che sono una speaker radiofonica, da non molto tempo e non a tempo pieno però lo sono.

Siamo quindi quasi coetanei! Io però sono ancora uno studente perché... ma parliamo di te! Speaker radiofonica, questo è quel che interessa ai nostri lettori. Lavoro ''strano''. Da quando questa passione per la radio?
Davide se ce l'ho fatta io puoi farcela anche tu, ti sono vicina.
La radio, in un modo o in un altro mi appassiona da sempre. Quando ero più piccola non ci facevo caso, non credevo di avere questa grande passione.. più che per la radio la passione era per l'intrattenimento. Da bambina con mia sorella e le mie cugine mettevamo in piedi grandi spettacoli in cui cantavamo, ballavamo e io mi mettevo sempre a centro "palco", con un microfono in mano a raccontare barzellette. 
Poi alle superiori durante le assemblee di classe mi divertivo a fare la cronaca di quello che succedeva, parlavo con questo tono impostato da giornalista intervistando le mie compagne e sparando cavolate per ridere..mi è sempre piaciuto intrattenere, come si dice "tenere banco", anche nelle situazioni più sciocche. A tavola ad esempio, da piccolina giravo con un quadernetto di barzellette per avere sempre qualcosa di divertente da dire. 
Sembrano tutte sciocchezze che però, ad oggi, posso ricollegare a questa passione che si è poi palesata non molto tempo fa. Ero all'università, tra il primo e il secondo anno, lavoravo in un negozio il weekend e ogni volta che guidavo, la domenica mattina, verso il lavoro ascoltavo Laura Antonini di Radio Deejay; ogni sua parola, ogni sfumatura del suo tono di voce mi incantava e tra me e me pensavo "Quanto vorrei fare questo lavoro..". Volere è potere!

E dal volere al potere come ci sei arrivata? Ricordiamo che al momento sei la mia speaker radiofonica preferita (sono super sincero eh!) e lavori per radio Piterpan. Come hai fatto ad arrivare lì, col microfono davanti, in diretta, nello stereo della mia auto?
Grazie!! Questo è un complimento a cui non abituata perché mi sembra assurdo che qualcuno possa dire una cosa così bella di me, quindi mi fa davvero piacere. 
Tutto è iniziato proprio una domenica mattina, sai quando ti prendono quei momenti in cui senti la necessità di fare qualcosa per cambiare la tua vita? Ecco, in quel momento io mi sono detta "Ora o mai più". 
Ho mandato una mail a diverse radio per propormi, ovviamente puoi immaginarti quanto possa interessare ad una radio qualsiasi una ragazza che non ha esperienza, non sa neanche com'è fatta una radio, dalla parte del microfono ovviamente; non mi aspettavo una risposta, ci speravo e basta. L'unica risposta fu quella di Radiotreviso.it, una web radio locale che, fatalità (quando si dice essere nel posto giusto al momento giusto), cercava una voce femminile. La collaborazione con Radiotreviso.it non è stata molto lunga, è durata circa cinque mesi, però è stata fondamentale. Sono stata seguita da Carlo Flora che è un professionista ed una persona meravigliosa, mi ha insegnato alcuni trucchi, mi ha dato delle dritte e la possibilità di far sentire la mia voce sul web. Lì ho preso confidenza con il microfono e ho capito quanto mi piacesse il mondo della radio. 
Conclusa questa esperienza, a causa dell'università e del lavoro che mi rendevano impossibile fare qualsiasi altra cosa, mi sono presentata a Radio Ca' Foscari, la web radio di ateneo. Anche quella è stata un'esperienza grandiosa, perché avevo totale carta bianca quindi oltre ad essermi divertita moltissimo ho anche imparato molto, potendo mettere in pratica quello che mi era stato insegnato. 
Durante la mia collaborazione con Radio Ca' Foscari continuavo a ricevere complimenti sulla mia voce e sul mio modo di fare radio che, per una persona senza esperienza, era notevole. Allora ad aprile 2014 mi sono iscritta ad un corso di conduzione radiofonica tenuto da Simone Maggio, un altro grandissimo professionista che mi ha aperto un mondo. Il corso era a Milano una volta a settimana, quindi per quattro mesi ho fatto su e giù da Treviso a Milano, una fatica che non ti dico, nel frattempo ovviamente c'era anche l'università ed il lavoro..ero stravolta. Ma ne è valsa la pena, un'esperienza pazzesca! Sono uscita da lì con le idee chiare, nuove amicizie, con delle conoscenze e una demo. 
Non sapendo come raggiungere Radio Piterpan, che era il mio obiettivo, una sera sono andata ad un evento presentato da Andrea Nordio e a fine serata mi sono avvicinata per chiedergli consigli sul come entrare a far parte di Piterpan o almeno anche solo per far sentire la mia demo. Il giorno dopo mi sono presentata alla sede di Castelfranco, sono stati tutti gentilissimi..mi hanno fatta entrare, mi hanno indirizzata verso il direttore con il quale ho parlato. A fine conversazione avevo la sua mail e lui si aspettava la mia demo. È stato tutto molto veloce, il giorno dopo ero già lì ad affiancare Filippo Ferraro, che mi ha insegnato i trucchi del mestiere e che, insieme a tutti gli altri, mi ha permesso di arrivare fino allo stereo della tua auto.

14/05/15

Vietato far esplodere i distributori col cellulare.

Stavo sfrecciando per la strada col mio bolide, un'inarrestabile rossa aerodinamica elegante ma sportiva Dacia Sandero, quand'ecco che il gpl chiama... s'ha da fare il pieno! Raggiungo il benzinaio di fiducia, quello s'avvicina, gli dico ''Il pieno'' e lui inizia il suo lavoro.
Finché aspetto io che faccio? Prendo il cellulare e mi faccio i cavoli miei. Toc toc. Alzo lo sguardo. E' il benzinaio. 
''Non farti vedere che usi il telefono per favore che è vietato.''
''Cosa?''
''Non si può usare il telefono finché si fa il pieno. E' pericoloso.''
''E... cosa??''
''Guarda, non so che dirti, ma se guardi là c'è il cartello di divieto e io non voglio altri casini. Fosse per me non ci sarebbe problema ma mi hanno invitato più volte a farlo rispettare.''
''Okkei ma... cosa??? Cioè, perché?''
''Perché sennò esplode tutto.''
''Cosa?????''

Esplode tutto.
Esplode. Tutto!
Il cartello col divieto effettivamente parla chiaro. E' vietato utilizzare lo smartphone durante il pieno perché c'è il pericolo che l'interferenza tra onde elettromagnetiche e fumi del gas creino una reazione esplosiva. Boh. Io questa non l'avevo mai sentita. Qui c'è il potenziale per un'arma incredibile. Gente del califfato islamico, aprite le orecchie: vi basta chiamare il numero di un tipo che sta facendo benzina per farlo saltare in aria, sapevatelo! Che poi è strano. Io l'ho sempre usato, voi l'avete sempre usato, il mondo l'ha sempre usato. Non mi pare sia mai saltato per aria nessuno.
Ma in effetti, cercando sull'internet, qualche notizia a riguardo si trova. Ci sono alcuni avvisi diramati dalle compagnie fornitrici di benza, o meglio, avvertimenti, che suppongo esistano giusto per mettere le mani avanti nel caso di pieno col botto, e un paio di testimonianze di parecchi anni fa che raccontano di incidenti avvenuti durante il pieno e che in qualche modo relazionano l'evento all'attività telefonica della povera anima che voleva solo mollare la moglie senza doverla guardare in faccia. Quindi c'è da crederci?

Ho chiesto, nel dubbio, al caro amico Wolowitz, un quasi ingegnere così chiamato perché somiglia tanto a Wolowitz di Big Bang Theory. Se stai leggendo, caro Howard, beh... spero tu non stia leggendo. Comunque sia, dopo una risata, la risposta è stata che questi tizi dicono che le onde causate dalla chiamata potrebbero caricare elettricamente una parte metallica del telefono che a sua volta genererebbe una scintilla che potrebbe incendiare la benza. Eh, sì, e poi? Sticazzi non ce li metti?
Ovviamente lui non crede a ste cose, e io nemmeno, come non credo alle fate, all'olio di palma e a Nadal numero 7 del mondo. E in effetti sostiene sia più rischioso, rispetto al telefono, un accendino, o la stessa macchina che si carica da sola. Vabè, avete capito. Farò gpl senza telefono, senza accendini e senz'auto a sto punto. 

Voi comunque vi siete mai imbattuti in un cartello del genere? Avete mai provato il brivido della multa per aver ignorato una precauzione valida quanto una bufala? 
Io intanto mi immagino lì, a due passi dal distributore mentre mi fanno il pieno, a chiamare il tipo che mi sta in culo, e farlo saltare in aria camminando deciso con l'esplosione sullo sfondo stile Breaking Bad. Che ficata!

11/05/15

Il signore del Trenitalia.

''Attenzione. Il treno 45499, proveniente da Venezia Santa Lucia e diretto a Verona Porta Nuova, è inesistente. Riprovare più tardi o venire un altro giorno o andare a fare in culo. Ci scusiamo per il disagio.''

Voi la fate facile. Sì, proprio Voi, che vi lamentate vibrando bestemmioni nell'aere come fossero Wingardium Leviosà contro Trenitalia, poverella, se i treni fanno ritardo. Voi che magari dovete andare a lavoro, che siete lì lì per fare un esame e siete pendolari, voi che... insomma, la fate proprio facile. Ma vi siete mai chiesti il reale motivo di tutto questo disagio nell'organizzazione delle corse? Avete mai provato a porvi la domanda: ma perché cazzo 'sta Trenitalia non si sopprime lei piuttosto di sopprimere il treno che devo andare a trovare la morosa e sono già in ritardo e quella m'ammazza la testa?!
La risposta è: Luchino Perciccio. 

Luchino Perciccio è il dipendente pubblico più sottopagato, sfruttato e stressato dell'intero Stivale. Luchino Perciccio è la ragione per cui il vostro treno è Ci scusiamo per il ritardo!
Luchino nasce nel 1960, sin da piccolo ha la passione per i treni e in età adolescenziale è notato dall'insegnante di canto della parrocchia per il suo particolarissimo timbro vocale. No, Luchino non viene arruolato nel coro della messa domenicale, che è stonato come Loredana Lecciso, ma è segnalato direttamente al parroco come lettore ufficiale dell'omelia. Perché? Perché la voce di Luchino Perciccio è melodiosamente atona. Cioè priva di accenti, di inflessioni, di pathos, ma con uno strano piglio musicale. Praticamente è in grado di ipnotizzare i fedeli che ora ascoltano le parole del prete recitate da Luchino. E' un dono divino!
La svolta per lui avviene nel 1999. Dopo una giovinezza priva di significativi risultati scolastici, sentimentali e lavorativi, trova un impiego non troppo redditizio come speaker radiofonico per una stazione regionale. E' purtroppo cacciato a calci nel culo due anni dopo, per la disastrosa campagna di boicottaggio indetta dall'ANAS contro l'emittente per cui lavora: il suo programma di fatto, quand'è in onda, aumenta del 400% l'incidenza di incidenti automobilistici. La stessa voce atona e ipnotica che l'aveva reso celebre ora mostra i suoi lati peggiori. Sì perché non è solo la fine della carriera radiofonica il problema, bensì l'inizio della collaborazione con Trenitalia.
Luchino Perciccio è assunto a tempo indeterminato in un bunker sotterraneo situato sotto la stazione di Roma Termini. Da quel bunker Luchino lavora quasi tutto il giorno, tutti i giorni, perché gli piace. Se, ciao proprio. La realtà è che è stato rapito. Rapito dallo Stato, che ha scorto in lui il perfetto... il perfetto... rullo di canguri... sì ragazzi, stiamo per svelare la sua mansione per Trenitalia, nonché la risposta alla domanda iniziale... insomma, Luchino è il perfetto annunciatore di arrivi, partenze e ritardi dei treni.

Esattamente amici. Avete capito. Lui, da solo, rinchiuso nel bunker segreto, minacciato di morte, osserva e annuncia ogni singolo treno sul territorio nazionale. Vi siete mai chiesti perché in qualunque stazione voi andiate la voce del signore del Trenitalia è sempre la stessa? Registrazioni dite? Sveglia gente!!!111!11!!! E' rapimento! E' sequestro di persona! E' Luchino Perciccio che si sgola, pur mantenendo sempre, impeccabilmente, la sua particolarissima voce atona e dal piglio musicale, dicendovi ''Attenzione, il treno 45499, in partenza da Venezia Santa Lucia e diretto a Verona Porta Nuova, è in ritardo di 30 minuti. Ci scusiamo per il disagio.''
So che siete persone intelligenti. So che, di tutta questa storia, non credete alla panzana dell'incidenza di incidenti aumentata del 400%. Difatti l'ANAS è proprietà statale, come Trenitalia, e la sua campagna è stata solo una mossa strategica per appropriarsi di Luchino Perciccio, e sfruttarlo. Un rapimento alla luce del sole. I ritardi dunque? Sono semplicemente le normali difficoltà che una singola persona può avere nell'annunciare costantemente ogni singolo cazzo di treno in tutta la rete ferroviaria d'Italia. Non è lui ad annunciare i ritardi dei treni, sono i treni che tardano per permettergli di fare l'annuncio. Un lavoro infame il suo, una vita miserevole. 

Il punto è che... perché Trenitalia non si prende qualcun'altro? Perché sfrutta Luchino in questo modo? Perché si accolla i disagi che giustamente il povero Perciccio crea? Queste sì che sono ottime domande. E' quindi vostro dovere continuare a lamentarvi di Trenitalia, ma facendolo con la giusta motivazione, e gridando: Basta Ritardi! e Luchino Perciccio Libero! 

06/05/15

Wild e la ricerca della bellezza

Cheryl, sfinita, arriva nel punto più alto del pendio. Si sfila le calze e libera i piedi, pieni di vesciche e con un'unghia incarnita, e uno degli scarponi, disgraziatamente, rotola giù, giù, giù... 
La giovane urla con tutto il fiato in gola e in una manciata di secondi, assieme all'urlo, vedi cosa nasconde quel gesto disperato. Una singola scena da pelle d'oca, che vale tutto il film, credetemi.

Oggi si parla di Wild, film del 2014 per la regia di Jean-Marc Valleé, che riprende i ricordi della vera Cheryl Strayed che nel suo libro racconta la propria esperienza al Pacific Crest Trial, un sentiero escursionistico di oltre 4000km.

Cheryl un giorno decide di staccare la spina e cominciare a viaggiare, e armata di zaino (più grande di lei) e non troppa convinzione affronta un percorso in solitaria in mezzo alla natura selvaggia, lontana dalla civiltà. Una premessa questa, che ricorda molto un'altra pellicola di viaggio, Into the Wild, basata sulle memorie di quell'Alexander Supertramp col sogno fisso dell'Alaska, ma che in realtà prende tutt'altra direzione. Il racconto di Cheryl non è un allontanamento disgustato dalla società, o una sua critica, ma una fuga dalla propria vita per trovare una prospettiva diversa con cui guardarla, scacciando i propri demoni e imparando a convivere assieme ai rimorsi.

Il viaggio è un pretesto per raccontare ciò che la protagonista ha vissuto prima. I momenti di fatica, di bellezza, di paura, sono allora alternati a precisi flashback che approfondiscono man mano il passato di Cheryl, svelando di un'infanzia difficile con un padre alcolizzato, di un rapporto sentimentale travagliato col marito, di molte strade sbagliate e soprattutto, di una madre sempre presente anche se infinitamente distante da lei.
Altra grande protagonista, oltre a Reese Witherspoon, è quindi la fantastica Laura Dern, che interpreta una quarantenne amante dei propri figli e della propria vita nonostante tutto, una che ha deciso di rimettersi in gioco, anche tornando a studiare nella stessa scuola di Cheryl, una che guarda la vita col sorriso sulle labbra, perché in fondo, nonostante le difficoltà, si deve guardare alla bellezza.
Ed è proprio questa che Cheryl imparerà a trovare verso la fine del suo percorso, rivivendo e vivendo attimi di panico, di solitudine, di gioia immensa, di quiete e anche di dolore; imparerà ad andare avanti e a costruire qualcosa di nuovo, con lo stesso sorriso di sua madre.

Wild è un film consigliatissimo. Mai noioso, splendido visivamente, fortissimo per come alterna e mostra il momento del viaggio e l'interiorità della protagonista. E basta quella prima scena di urlo disperato per rimanerne conquistati.

02/05/15

Una sega in mezzo al mare.

Ti senti così piccolo, così niente, quando sei su una nave in mezzo al mare e il mare è a forza 9. Ci sarebbe da perdere la testa non fosse per il vomito. Lui sì che ti ricorda che ci sei, qui e ora, con lo stomaco indeciso che non sa dove mandarlo: un po' lo tiene, un po' lo manda su, il resto lo gronda sul comodino che gli si trovava a tiro. Che poi è tutto chiuso. Uno come me se ne sta in cabina a far niente, a distrarsi con la tv che stride qualcosa per distaccarsi due secondi dal tanfo del secchio stretto tra le gambe. Sia mai rotoli via!
Basterebbe una boccata d'aria. Aria, aria, aria fresca. Quella si farebbe un gran bene. E allora osservi dall'oblò e vedi il mare incazzato, e una porca troia di onda arriva e tu e il secchio e la tv e il comodino e il letto e la lampada andate giùùùù, e poi una spinta un po' verso destra e poi tutti di nuovo suuuu e... e come fai a non rimetterci pure l'anima, Cristo di un Dio?
Non è la prima volta mi capita. Ricordo impazzii di paura le altre. Il pensiero di finire tutti sott'acqua, assieme alle centinaia di tonnellate di container pieni come vacche all'ingrasso, non è proprio facile da scacciare. Eppure oh, il vomito, il vomito ti salva, nel suo tragico a nauseabondo savoir faire. Si potrebbe elogiare questa sua naturale propensione al saper prendersi le attenzioni di cui ha bisogno. All'inizio non ci fai quasi caso, ma poi con delicatezza ti posa una mano tutt'attorno alla pancia. Dapprima è leggera, poi comincia a stringere, lentamente, entrandoti dentro, muovendosi poco ma sempre più intensamente. Un'immagine quasi erotica penserete, qualcosa come una sega allo stomaco, in mezzo al mare, durante la tempesta. Romantico eh? E in effetti, come per la sega, ti concentri solo su quello nonostante il mondo là fuori impazzisca, ansimando di dispiacere, respirando più forte, cercando ossigeno... finché vieni, vieni ovunque e con tutto te stesso, un sussulto bollente che spinge dalle viscere. Già. 
Che schifo. Che paragoni. Ma non ce la faccio, sapete, a pensare ad altro. Sono su questa nave disgraziata, nel mare incazzato, nella cabina striminzita. E non scopo da tre mesi. Qualche porto l'ho anche visto ma... in tempo di tempesta ogni buco fa porto, mi vien da dire, e ci vorrebbe un bel porto sì, cazzo, così ci parcheggiamo la nave, il cazzo, e la finiamo pure con queste fottute tempeste tropicali dell'oceano. Perché ti senti così piccolo, così niente, quando sei su una nave in mezzo al mare, e il mare è a forza 9. E a sapere che ti ci sei ficcato da solo, in questo buco di culo, che puoi fare se non vomitare? Te lo dico io: una sega!

30/04/15

Siate elastici!

Oggi vi sfido. Prendo spunto dagli incontri di scrittura che sto frequentando facendovi partecipi dell'idea di Rick DuFer, e invitandovi a provare un esercizio chiamato racconto elastico. Come funziona? Si parte da una stringa narrativa, una semplice frase, che dovrete allungare come fosse appunto un elastico.
Lo dovrete fare per TRE volte. La prima, scrivendo qualcosa attorno ai 300 caratteri, la seconda 500, e la terza 700, non serve precisione assoluta eh! Comincerò io, così avrete un esempio un po' più chiaro del funzionamento dell'elastico. Tenente presente comunque che la stringa iniziale si può allungare in qualunque modo: punti di vista diversi, dilatazioni temporali, spaziali, di forma, di stile, di contenuto, quel che vi pare. Rimanete nello spunto dato, ma... elasticizzatelo!

La frase da cui partire è:
Il colpo arriva da destra. Ci sbilancia, ci getta lontano, cosa sta succedendo?

Prima dilatazione
Prima aria, peli di barba su guancia si stendono. Poi pelle, quattro nocche violente esplodono la destra del volto. Le gengive sussultano, l'arcata dentale del colpo si apre: tre radici e mezzo sradicate in un istante. Picchiamo l'asfalto in una frustata di sangue. Che cazzo succede?

Seconda dilatazione
Guardo un albero in un prato. Sole, brezza fresca, erba smeraldo. Perfetto. Sento un... l'albero, l'albero non c'è più, l'albero è... lì, vicino a me, ma lontano. Potrei cadere, vomitare, non reggermi in piedi. E vorrei, vorrei farlo, per quanto sgradevole, vorrei stare male come è normale che sia. Ma non posso. Che succede? Perché mi vedo lì, impiantato come quel dannato salice, fermo immobile a fissarlo? E' orrendo essere così, è innaturale essere insensibili a se stessi, scarnati, guardarsi da fuori. Voglio sentire, anche il dolore, ma voglio sentire.

Terza dilatazione
Se potessi essere... bella. 
Se potessi non vergognarmi della mia pelle, se i solchi insanguinati non fossero incubi di cera, bianchi e lisci e indolori al tocco, bollenti. Se potessi non salire come stessi andando al patibolo, con la folla che mi spoglia inorridita, scrutando un morto con la testa mozzata, attratta dal suo stesso disgusto, e se potessi non contarli, i loro occhi, così tanti, così precisi. Se potessi non sentirmi imperfetta, perfettamente accusata della mia colpa.
Un passo.
Se potessi non fare l'altro, salire, che il primo è già abbastanza duro da buttar giù.
Il colpo.
Se potessi fermare il peso della mia vita, se potesse smettere di correre a destra, la dannata lancetta, schiacciata da chili di rimorsi.

Ora tocca a voi. Partite dalla prima frase e, restando in quella, allungatela non aggiungendo altro prima o in seguito, ma stirandola come fosse un elastico, nel mezzo. Siate liberi di provare qualunque cosa, mi raccomando! Potete rispondere qui sotto o creare un post nei vostri blog. A voi...

27/04/15

Walkman | Aprile

Terzo appuntamento con Walkman, la nuova rubrica musicale del blog. Qui, nella sezione MusicalMente, troverete comodamente (sempre che ve ne strafreghi qualcosa) tutti post che ne fanno parte. E ora partiamo! Che ho ascoltato sto mese?

Die Antwoord
Complice quello stronzetto di Chappie, il nuovo film di Neill Blomkamp, mi sono rimesso ad ascoltare questo gruppo di sudafricani scoppiati. Yo-Landy, Ninja e Dj Hi-Tek fondono musica elettronica e cultura trash (se così si può definire) per regalare un'esperienza davvero fuori dagli schemi. 
Vi potrebbero piacere? Non saprei. Trovo azzeccato il commento di un critico che disse: i Die Antwoord sono come un incidente, tanto brutti che non riesci a smettere di fissarli. Potete avvicinarvi a loro con I Fink u Freeky, probabilmente il pezzo più famoso, e Fatty Boom Boom, nel quale prendono per il culo Lady Gaga, che li voleva ad aprire un suo concerto e s'è beccata un simpatico No in risposta.

Lunatic Wolf 
Restiamo in Sudafrica ma cambiamo totalmente registro. Siamo sul folk/indie/alternative/rock, un po' tutto un po' niente insomma, e questo gruppo l'ho scoperto pochi giorni fa scorrendo la bacheca facebook. Un solo album intitolato To the Adventure, uscito a novembre 2014, che ho trovato davvero niente male. Da non perdere The Tallest Tree, Sure as Hell e So Much More.

The Prodigy
Altro nuovo album fresco fresco è quello dei cazzutissimi Prodigy, intitolato The Day Is My Enemy. Di quest'ultimo vi consiglio la canzone omonima e le storiche Omen, Thunder e Warrior's Dance. Quanti ricordi quest'ultima...

E ora concludiamo con una tripletta di singoli perennemente in loop sul mio simpatico spotify!

Iniziamo da Chic e Nile Rodgers, che con questo ritorno alla disco anni '80 di I'll Be There mi gasa parecchio, passando poi per Cruising California (Bumpin' in my Trunk) degli Offspring tratta dal loro ultimo album, quello del 2012, e giungendo infine all'artista vergogna del mese... Jason Derulo con Want to Want Me... non ce la faccio, continuo ad ascoltarla. 

Ma ora la palla a voi! Che avete ascoltato questo mese? Nuove scoperte? E avete qualche artista vergogna con cui vi si può lapidare? Ovviamente, fatemelo sapere qui sotto! 

22/04/15

La nobile arte del portapizze #3: pizzeria a d'omicidio.

I fatti di seguito narrati non sono frutto di immaginazione. Le persone, le loro parole, e i luoghi, in parte sì, per tutelarne la privacy. Se non ci credete comunque, vi capisco.

Stai per entrare. Leggi lassù, vicino all'insegna, la scritta pizzeria a domicilio. Sospiri. Entri.
''Cia
''Dai cazzo in fretta hai già settantordicimila consegne potresti arrivare cinque minuti prima la prossima volta porcoddue muoviti o ti do fuoco ai capelli!''
Resti lì con la mano alzata a salutare il muro. Il tuo datore di lavoro si è già rimesso a impastare con sottofondo musica latino americana. Prendi il portafogli, le chiavi della macchina e la sacca con le pizze. Varchi l'uscita e... piove. Ma non c'era il sole due secondi fa? Boh.

Hai due consegne da fare e sei già in ritardo. Parti con quella che conosci mentre guidando cerchi l'altra via col cellulare. Scopri che il cliente successivo abita nelle vicinanze. Che culo. Consegni le pizze, fai pagare, torni in macchina. Ti sei pure bagnato poco, la pioggia non sembra essere trop
Diluvio!
Ok, ma almeno sai dove andare. Trovi Via della Disperazione, è ad appena due minuti da lì. Il numero da raggiungere è il 45. Eccoti: i pari sono a sinistra, quindi i dispari li hai a destra. Procedi lentamente e una macchina, nel senso opposto, ti sfanala suonando il clacson. Merda, stai andando contro mano. Vorresti dirgli No guarda tutto a posto, sono un portapizze io ste cose le posso fare ma dato piove troppo non ti azzardi ad abbassare il finestrino. Ti giri come riesci e torni indietro. 

Dopo tragici momenti di dubbio capisci come prendere quella strada nel senso giusto. Percorri Via della Disperazione fino alla tua preda. Scendi in rapidità, ti lavi, prendi le pizze, e punti di corsa al campanello. Suoni. 
Suoni. 
Suoni... 
Niente. Apri il foglio con scritto l'indirizzo e il numero di telefono. La scritta è quasi sbiadita per la pioggia. Torni in auto. Leggi il foglietto al riparo. Componi il numero, confuso se quello sia un 4 o un 9. Tenti col primo. Chiami. 
''Salve sono il portapizze sono davanti casa sua.''
''No guardi, io non ho ordinato proprio nie'' 
Chiudi la chiamata. Era una siciliana e il numero era un 9. Ridigiti, premi il telefono verde, ripeti la cantilena. 
''Ahhh scusami, mi ero addormentato, non avevo sentito il campanello. Ti apro.''
Si era addormentato. Capito? Non dici nulla. Sei stufo persino di avercela col Signoreiddio.

21/04/15

LIVE: A cosa serve la filosofia oggi? (guest post Rick DuFer)

Una domanda a cui non sanno rispondere gli studenti perché "la filosofia ti fa due palle grosse così". Una domanda a cui non sanno rispondere i professori perché se gliela fai si mettono sulla difensiva. Una domanda a cui non sanno rispondere i filosofi perché... sono filosofi. 
Insomma: a cosa serve la filosofia oggi? 

Una LIVE dedicata a chiunque, esperti e curiosi, con la possibilità di interagire direttamente con me, porre questioni, discutere anche animosamente, divertendoci su YouTube

Vi aspetto stasera alle 21 a questo link: https://www.youtube.com/watch?v=2Y5bXiyqG3M per parlare di questa splendida disciplina che troppo spesso è massacrata dal luogo comune o dall'intellettualoide di turno!

Non mancate! 

20/04/15

Open Minded | MaiMa: l'omofobia si combatte a scuola! (di Fabrizio Benetti)

Benvenuti cervelli cari. 
Oggi a #OpenMinded sono felicissimo di farvi conoscere Fabrizio Benetti, che ha gentilmente accettato di farsi intervistare parlando di sé e soprattutto del gruppo di cui fa parte: MaiMa, impegnato alla lotta all'omofobia partendo proprio da queste zone in cui abito, partendo da Schio.
Siete pronti? Tre, due, uno... aprite le vostre menti!

Allora, partiamo dall'inizio direi. Ovvero: con chi sto parlando? Chi sei tu?
Sono Fabrizio Benetti, ho 28 anni, sono di Schio, mi sto laureando in giurisprudenza e... e stop intanto.

Bene. Parlaci brevemente di MaiMa. Cos'è, dove nasce, da chi, e cosa significa soprattutto!
MaiMa è stato creato a novembre 2014, ed è nato appunto da un incontro tra amici, in cui si è deciso di tentare di sensibilizzare sul tema dell'omofobia la città di Schio in primis, e poi quel che verrà, sperando di allargarci sempre di più. E' un gruppo assolutamente spontaneo in cui si sono incontrate idee diverse, e data la propria natura eterogenea è sia eterosessuale che omosessuale a differenza magari di altri ritrovi che sono o di un genere o dell'altro, con la decisione di mischiarci per poter dire che anche gli etero non sono estranei a quest'argomento.
Che abbiamo fatto per partire? E' nata a dicembre la pagina facebook e in soli tre mesi siamo arrivati a 2200 mi piace, click sui post e...

Un gruppo giovanissimo quindi, nato ieri praticamente!
Sì esatto, e chi se lo aspettava poi questo successo, con interazioni sui post, condivisioni... la gente si interessa diciamo. Comunque MaiMa significa, dato che mi chiedevi: Mai dire Ma alla libertà di essere se stessi, che sarebbe il nostro slogan, cioè mai porre un Ma alla propria libertà e ai propri diritti, a cui è seguita l'idea di una ragazza, durante uno dei vari incontri col gruppo, di tirare fuori la parola Maimi, in guaranì, una lingua dell'america meridionale, che significa Ognuno/Tutti, che quindi abbiamo sistemato facendo diventare MaiMa. Il nostro obiettivo è la lotta all'omofobia in tutte le sue forme.

Ok, ok. Sticavoli! Un gruppo molto recente con un obiettivo ben chiaro. E quanti siete?
Più o meno, il gruppo che si ritrova più spesso, a cadenza settimanale, direi è fatto da quindici/venti persone, poi ovviamente i ritrovi sono aperti ad amici, amici di amici, e a chiunque voglia venire a vedere come lavoriamo, che è bene accetto, visto che più siamo meglio è. Poi comunque abbiamo progetti in corso, altri già fatti, e... l'unione fa la forza in questi casi, speriamo venga sempre più gente.

Ma vi trovate in casa o...?
Di solito ci troviamo in qualche bar, avevamo iniziato col circolo operaio di Magrè. Poi dipende da come riusciamo a organizzarci tra noi, anche in casa di qualcuno sì, a seconda anche dalle esigenze di lavoro di ognuno o come riusciamo. E' tutto molto tranquillo diciamo.

Domande a bruciapelo allora, cosa dici?
Vai!

La parola gay, ti da fastidio?
No, assolutamente.

E' secondo te perché è vista come un insulto molto spesso? Nel senso, viene vista come un insulto anche dagli stessi gay che appunto dicono si dice omosessuale, non gay.
Beh, ce n'è da dire. Io ovviamente parlo per mia esperienza personale. Penso omosessuale sia riferito più a un termine... tecnico magari, mentre gay che è di derivazione inglese è magari vista più come una cosa tranquilla, quotidiana, che poi dipende dal contesto in cui è usata. Io non mi sono mai offeso né niente ad esempio, però è chiaro che se è usata accanto a termini offensivi è un altro discorso, e sì, spesso è vista in termini dispregiativi, mentre omosessuale forse è più carico di... ufficialità.

Tu sei gay?
Sì.

13/04/15

Ehi, io sono Chappie, puttana di figlio!

Con Chappie, o meglio, Humandroid, perché qui in Italia han voluto chiamarlo così dato che il titolo originale pareva troppo simile a chiappe, Neill Blomkamp rialza la testa dopo quel mezzo disastro di Elysium, ma lo fa lasciandoti una strana impressione intorno.
Ambientato in un futuro prossimo nell'amata Johannesburg, Humandroid racconta della creazione della prima intelligenza artificiale, Chappie appunto, un robot senziente in grado di imparare, emozionarsi, pensare e soprattutto accorgersi di essere vivo, di avere una coscienza. 
La vicenda, in breve, mostra di come questa A.I bambino si sviluppi venendo educata sia dal suo creatore Dion, sia da una banda di criminali scoppiati quali sono Yolandi e Ninja, due gangster disagiati che vogliono sfruttarne il potenziale per utilizzarlo nel loro prossimo colpo. Con la trama mi fermo qui. 

Mi è piaciuto? Sì e no.
La sensazione a fine visione è appunto quella di aver visto un film strano. Strano come Yolandi e Ninja, i due criminali protagonisti che educano Chappie, due sudafricani originali al 100% che interpretano realmente la parte di loro stessi, quei Yolandi Visser e Ninja conosciuti come duo musicale Die Antwoord. Strano come Hugh Jackman che non è mai stato così distante da Wolverine, con dei capelli tamarri osceni che ben si inseriscono al resto della tamarraggine della criminalità urbana fornita da Blomkamp. Strano come il comparto musicale, un mix alternato di Hans Zimmer (sempre fantastico ma qui più elettronico che mai) e i sopracitati Die Antwoord. 

09/04/15

Cos'è un blog?

Un blog in effetti è tante cose e tutte diverse, anche a seconda di chi ce l'ha e di come lo vive. Qui però parlo di me, e quindi per me, pensandoci un po', il blog è...

Uno sfogo. Un blog sei tu che ti puoi sfogare, che puoi dire la tua ed essere ascoltato, non come quando parli, che uno magari ti può zittire, può fingere di starti dietro, può fare sì sì con la testa e avere la mucca che balla la samba nel cervello. Perché il parlare è molto diverso dallo scrivere, così come l'ascoltare richiede un impegno differente rispetto alla lettura. Nessuno può fingere di leggere quel che scrivi: o si legge o non lo si fa, e l'attenzione dedicata dev'essere necessariamente medio/alta, altrimenti ci si perde via ed è quasi come tornasse la solita mucca che balla la samba.
Quindi anzitutto, il blog è avere l'occasione di venir ascoltati.

Poi è una casa. Chiedetelo a chiunque e vi verrà di certo detto che il proprio spazio virtuale è visto molto come una casa, un luogo proprio, magari un salotto, uno spazio di confronto, discussione, incontri e litigate, dove se ne hai voglia, nel caso qualcuno entri con le scarpe sporche di fango, si può prendere e mandare la gente fuori a calci. E di mezzo si piazza persino l'arredamento ad essere sinceri, che una grafica bruttarella non piace a nessuno, e allora si da una mano di colore di là, si sistema l'header di qua, si piazza un banner su e si sistemano i link giù, come per attaccare dei quadri.

Infine, e non meno importante, è una palestra, una di quelle per la mente. Non ricordo dove l'ho sentito questo paragone, ma mi è piaciuto un casino. In effetti qui ci si allena come in palestra, in più e più modi. Primo sforzando il cervello per creare qualcosa, magari che sia pure interessante, perché se si scrive in un blog lo si fa in un certo senso per essere letti, altrimenti tanto vale farlo su un diario e bonanotte. Secondo, affrontando ragionamenti e discussioni nate da quegli spunti che hai proposto, e il confronto con gli altri è sempre, in ogni caso, un momento di crescita e arricchimento, tanto più quando c'è disaccordo. Terzo scrivendo. Il semplice fatto di scrivere, di mettersi lì a digitare e parlare dei temi più disparati, è un allenamento di forma, contenuti e stile. Si sperimenta il linguaggio, si mutano i toni, si cercano sempre nuove strade per provare a vedere cosa si è in grado di produrre, e poi tutta questa esperienza torna utile anche inconsciamente, magari proprio quando devi metterti sotto con un racconto, o anche con un lavoro, o un esame, o una semplice lettera. Fateci caso voi blogger a quanto scrivete infilando un post dietro l'altro giorno per giorno. Non è poco!

Ma lanciamo la palla a voi. 
Per voi blogger, un blog, cos'è? E per voi non blogger invece? Voi semplici lettori, come lo vedete?

02/04/15

L'esperimento carcerario di Stanford: le ragioni del male.

Durante una serie di lezioni del corso psicologia sociale mi sono imbattuto nell'esperimento carcerario di Stanford. Ne avete mai sentito parlare? Beh, nel caso ve ne parlo un po' io, perché è qualcosa di tanto affascinante quanto agghiacciante, e volevo suggerirvi, proprio agganciandomi a questo studio, la visione del film The Experiment, e magari anche la lettura del saggio La psicologia del male, che tra le sue pagine lo prende in esame.
Ma partiamo dall'inizio, o meglio, dalla fine... 

Nel 2003 scoppia lo scandalo della prigione di Abu Ghraib, situata a una trentina di chilometri da Baghdad. I media ci bombardano di immagini che ritraggono militari statunitensi intenti a torturare e seviziare prigionieri iracheni, ridendo e godendosela di brutto. E' uno scandalo perché quelle immagini, e vi basterà fare una ricerca rapida rapida su google, fanno davvero schifo.
Le accuse più pesanti gravano sul sergente Ivan Frederick, il più alto in grado tra i militari imputati, e l'opinione pubblica non è nemmeno pienamente felice nel saperlo condannato a soli otto anni per quelle azioni riprovevoli, perché le mele marce del sistema vanno gettate, il male c'è e va punito.

Il male.
Ad esaminare la vicenda di Abu Ghraib è chiamato anche il famoso psicologico sociale Phil Zimbardo, che ben conscio del fatto che il male, in sé, non esista affatto, riporta alla memoria un suo vecchio esperimento: quello del carcere di Stanford.
Era il 1971, e su sessantacinque studenti che avevano risposto a un annuncio che cercava volontari per uno studio sulla vita in prigione, Zimbardo ne scelse 18, cioè quelli privi di precedenti penali e col migliore stato psicofisico, assicurandosi che nessuno tra i partecipanti si conoscesse. Questi vennero divisi per sorteggio in due gruppi da 9 (si fece però attenzione che fossero psicologicamente simili), a cui furono assegnati altrettanti ruoli: quello delle guardie e quello dei prigionieri.
Lo studio prevedeva un isolamento totale in carcere simulato della durata complessiva di undici giorni. Le guardie, a gruppi di tre, avrebbero sostenuto turni di 8 ore, dopo le quali sarebbero tornate a vivere la loro giornata, proprio come in un vero lavoro. I detenuti invece dovevano rimanere imprigionati per tutta la durata dell'esperimento.

31/03/15

E piovvero bovini.

Fu un giorno davvero strano quello, davvero impossibile. Si capiva che di lì a poco sarebbe arrivata una tempesta, uno di quegli acquazzoni estivi che negli ultimi tempi mettono davvero in casino certe zone del nord Italia. Bombe d'acqua, piace chiamarle ai giornali. Comunque sia, come detto, il cielo non prometteva nulla di buono, e i borbottii dei nuvoloni gonfi sembravano la tosse grassa di un qualche gigante che lassù era tormentato dal catarro.
Quando piovve la prima sfondò un'auto ferma al semaforo. Il conducente uscì vivo per miracolo. Gli altri, dietro di lui, scesero dalle macchine per vedere che diavolo fosse successo. La seconda cadde al bar lì di fianco, trapassando il tetto e fermandosi in un trionfo di urla terrorizzate solo al secondo piano. Prese a tuonare per buoni cinque minuti senza sosta, tanto che dovemmo tapparci le orecchie per non venire assordati. E quando smise, riprese a piovere, ma seriamente.
Guardammo in alto attirati dai muggiti. Sembrava ci fossero, ad agitarsi sopra le nostre teste, come cento e più stormi di milioni e milioni di uccelli, ma man mano che si avvicinavano realizzammo quale orrore stava realmente per scatenarsi. Urlammo terrorizzati, e giunto il panico vero e proprio cercammo riparo un po' a casaccio, sciamando impotenti come formiche molestate da un bambino dispettoso. L'impossibile stava accadendo sul serio: piovevano mucche, a migliaia! 
A ripensarci pare ironico. Sapete, tutti quei muggiti carichi di spavento suonavano grotteschi. Poi le vacche grandinarono al suolo demolendo ogni cosa, e addio muggiti, il frastuono della tempesta fu un crescendo violentissimo di pura devastazione.
Corsi assieme a mia figlia zigzando tra lamiere, carne e tegole che vibravano nell'aria. Scendemmo l'argine del fiume a secco trovando miracolosamente riparo sotto al ponte, e guardammo inorriditi quel tripudio di organi, sangue, morte e... mucche che piovevano maciullandosi al suolo. Fu così per buoni dieci minuti, dopodiché le raffiche di bovini sparirono com'erano venute, simili a una grandinata estiva, lasciando quel piccolo paese in provincia di Vicenza come cancellato da una bomba atomica, col silenzio rotto dalle urla dei feriti e dai versi agonizzanti delle povere bestie.
Pazzesco a dirsi, ma i giorni a seguire fu ancora più assurdo. I giornali accusavano i meteorologi di non aver dato previsioni accurate, di non aver diramato nemmeno un avviso di allerta. I meteorologi a loro volta rispondevano che una tempesta di mucche non si era mai vista in nessuna parte del mondo e mai nella storia dell'umanità, e dissero che tale evento non poteva essere altro che una qualche nuova e sconosciuta arma di distruzione di massa. I complottisti allora si scatenarono, tirando in ballo nuove teorie che ebbero soltanto il merito di pensionare le ormai vetuste scie chimiche, troppo lente, troppo poco efficaci, troppo prive di muggiti. Iniziò l'era delle vacche da guerra! E poi partì la grande macchina della solidarietà umana, con aiuti nelle zone interessate, eventi e concerti per raccogliere fondi a sostegno, recupero psicologico per chi ora aveva attacchi di panico alla sola vista di un hamburger di manzo. Tutto finché la notizia fu vecchia e non fu più notizia, finché ci si dimenticò anche di questo ennesimo orrore.
Sono passati ormai quattro anni da quel terribile giorno, e devo ammettere che io e mia figlia ora stiamo bene, siamo tornati a comportarci come persone normali. Ciò nonostante la mia riflessione non può che tormentarmi giorno e notte, incessantemente. Com'è possibile essere sereni, vivere tranquilli, quando un disastro del genere può cancellarti in maniera tanto imprevedibile nel giro di pochi istanti? Forse è vero, è meglio far finta di nulla, è meglio gustarsi questa costata, e non farsi troppe domande.