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Siamo nel pieno degli anni '80 e l'Aids è un incubo da cui pare impossibile risvegliarsi. Ron, operaio a lavoro per un'industria petrolifera, si ritrova dopo un collasso, dovuto anche all'abuso di alcool e droga, a farsi diagnosticare l'Hiv e 30 giorni di vita. Inizia qui il racconto di questo texano che farà di tutto e di più per non lasciarci la pelle, cambiando nel suo percorso non solo se stesso ma anche il mondo che lo circonda.
Matthew McConaughey ha vinto l'Oscar come miglior attore protagonista interpretando questo Ron Woodroof, un uomo violento, rozzo, omofobo e maledettamente pieno di se. Uno però che è anche gravemente malato, e che a un ego gigantesco oppone una fisicità scarna e smorta, aspetto che ha visto McConaughey perdere ben 20 kg per dare una dimensione più credibile alla malattia. E in effetti fa impressione vederlo così lontano dall'immagine che precedentemente dava di sé, e non si può far altro che dargliene merito.
Fisicità a parte comunque l'intero film si regge quasi tutto su di lui, che tra botte, deliri e drammi viene a conoscenza di un mondo che credeva di comprendere e che prendeva ovviamente per il culo, tanto era sbagliata e ignorante la sua visione, così come quella dell'opinione comune, riguardo l'Aids. I principali bersagli infatti erano drogati e omosessuali, e per questo inizialmente erano anche ingenuamente considerati gli unici ad esserne vittima.
Si intrecciano quindi quattro argomenti, ovvero quello dell'Aids e dell'omofobia prima, e poi del ruolo delle case farmaceutiche contro la libertà di curarsi come meglio si ritiene. E' importante allora spendere due parole per l'altro premio Oscar, quello andato al miglior attore non protagonista, il Jared Leto leader dei 30 seconds to Mars. Rayon, così si fa chiamare, è un sieropositivo ed è omosessuale, e per motivi d'affari intreccia la sua storia con quella di Ron, creando un rapporto che parte dal ribrezzo nei suoi confronti e va gradualmente all'accettazione, alla comprensione e infine all'amicizia.
Come nell'altro caso anche qui si ha un gran lavoro per quanto riguarda la fisicità, difatti Leto perde qualcosa come 13 kg per inscenare Rayon, e porta sullo schermo un compagno assolutamente opposto rispetto a quel che è Ron, accomunato, almeno inizialmente, dal solo senso per gli affari.
Dallas Buyers Club si rivela allora un gran film, perché narra del dramma dell'Aids con due personalità che ti catturano con la loro straordinaria contraddittorietà, la stessa che si ritrova accentuata nelle situazioni drammatiche dei malati che non possono scegliere come curarsi, ma si ritrovano, se fortunati, costretti ad assumere farmaci approvati più per motivi di profitto che per reale efficacia, e che sono quindi con un piede nella fossa e con l'altro su un trampolino montato a bordo di una piscina piena di squali.
''Ho l'impressione di lottare per una vita che non ho il tempo di vivere.''
Dallas Buyers Club affascina anche perché basato su una storia vera, che mostra come grazie al lavoro di Ron e Rayon, nonché di alcuni medici a cui sta veramente a cuore la salute del malato, si sia potuto creare un precedente per affrontare quella miriade di cavilli legislativi che intrappolavano i malati terminali in un incubo tanto più scuro tanto più era reale, difficile da concepire per l'assurdità dello status quo...
Se sono malato e sto morendo, se la mia sorte è già segnata in partenza e comunque vada non cambierà nulla, perché mi negate la possibilità di provare ogni cura possibile?
Perché la malattia, cari malati, è un business.