Lei pensa che spaccare la faccia alla gente sia una cosa che mi piace? Prima di decidere chi sono gli innocenti e i colpevoli, dovrebbe almeno chiedersi come funziona, il lavoro della celere. Ma in quei momenti hai il cuore che te batte forte, l'adrenalina che sale... a mille, la testa che te rimbomba che sembra che te va a scoppià dentro il casco non senti niente. Hai solo i tuoi fratelli accanto... solo su i tuoi fratelli puoi contare.
Cobra, Negro e Mazinga sono tre celerini e prima di tutto tre compagni, tre fratelli. Il loro lavoro, tuta antisommossa, casco e manganello, consiste nel mettere in sicurezza le situazioni più rischiose, quelle in cui l'ordine pubblico è compromesso e il caos rischia addirittura di farci scappare il morto. Li vediamo quindi la domenica a separare le tifoserie allo stadio, a sorvegliare i passaggi delicati nelle manifestazioni, a sfrattare chi occupa abusivamente una casa.
La trama, in breve, si articola alternando scorci delle loro vite private con quelli delle operazioni sul campo, situazioni queste che nonostante dovrebbero essere separate le une dalle altre, spesso e volentieri si influenzano a vicenda, fino a mescolarsi, a uniformarsi. E' chiaro quindi che in un lavoro come quello svolto dalla celere l'insinuarsi della sfera privata ed emotiva non può che portare a dure conseguenze.
Il punto di vista che aiuta lo spettatore ad approcciarsi a questo mondo ci è fornito da Adriano Costantini, un giovane appena ''arruolato'' tra le fila degli agenti. Il ragazzo, prima integrandosi al gruppo e poi diventandone elemento su cui poter contare, incappa in quella serie di aspetti che evidenziano con forza come il lavoro di natura violento della celere, in realtà, non possa fare a meno di invischiarsi con l'emotività dei singoli agenti. Chi sta sotto quel casco, chi sta dietro a quel manganello, sono persone comuni.
Questo è forse il messaggio che ACAB vuole mostrare presentando di seguito violenza e quotidianità, cioè che sono la prima lo sfogo dei limiti della seconda. Si toccano quindi parecchi aspetti che hanno tutti un comune denominatore: l'impotenza del cittadino di fronte ai problemi che lo Stato dovrebbe risolvere, ma non fa.
La politica fatta di promesse ad esempio, che si esplica con la madre del giovane Adriano che non ha accesso all'abitazione che per legge le spetterebbe, perché occupata abusivamente da alcuni immigrati. Situazione di immobilità che viene quindi sfogata tramite il potere che l'uniforme porta con sé, magari minacciando quell'africano di persona, oppure punendo direttamente lo straniero che ha trattato male un nostro amico, che è venuto a dircelo. Oppure la situazione sociale degradata, che vede un grosso afflusso di stranieri nel nostro Paese con conseguente malumore nell'italiano onesto, che si ritrova i mendicanti a spillargli euro fuori dal supermercato. Circostanza che sfocia in rappresaglie a stampo neofascista da parte di chi professa il ''padroni a casa nostra''. Gli stessi che catalizzano il malcontento anche verso la celere, incapace, a loro avviso, di ripulire le strade dai veri portatori di sozzura in Italia.
Il nostro gruppo di celerini viene mostrato perciò combattuto su più fronti, portando alla logica conseguenza che il loro rapporto trae tanta più forza quanto più sono nella merda, arrivando così a coprirsi a vicenda nei momenti di sgarro, quelli in cui commettono qualche cazzata perché si agisce in barba al regolamento, di testa propria, di nascosto.
ACAB, a differenza di un film come Diaz che ci prende la pancia e ci fa star male, va dritto alla testa, e ci fa riflettere. Ci fa pensare al fatto che le persone si abituano alle situazioni, e in questo caso perciò, alla violenza. Quando essa ferisce un compagno caro o un amico, ecco la tendenza a farsi giustizia da sé, a ripercorrere ciò che lo status di celerino permette solo in situazioni ristrette: fa capolino l'abuso di potere, che risolve questioni del tutto personali, che si protegge da solo per coprire i propri fratelli, quegli angeli custodi che sono l'unica cosa su cui poter contare quando si è là a prendere le botte per... per chi?
Torno alla frase iniziale, pronunciata da Cobra, uno dei nostri celerini finito a processo per aver pestato un tifoso.
Cobra, diversamente da come dice, ci gode a pestare, così come ci godono gli altri, ma non perché persone violente di natura, non perché gente cattiva. I ''cattivi'' non esistono, ci vuol dire quella frase, i cattivi sono roba da favole. Esistono invece le persone, quelle che vivono certe cose sulla propria pelle, che si adattano per combatterle e al contempo ne vengono sopraffatte intimamente, senza accorgersene. Cobra e gli altri godono ad avere potere, il potere di risolvere i problemi direttamente, senza l'intercessione di un'autorità o uno Stato che si sono dimostrati troppo inadeguati troppo a lungo. Ma il potere, come spesso accade, crea dei mostri, e il neo celerino Adriano, così come lo spettatore, questo lo capisce.