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22/10/15

Se l'anima esiste abita di sicuro nella nostra memoria

Qualche tempo fa, leggendo un saggio del neurologo Oliver Sacks (che potete trovare qui), mi rimase in mente questa sua affermazione:
[...] Mi sento infatti medico e naturalista al tempo stesso; mi interessano in pari misura le malattie e le persone; e forse sono anche insieme, benché in modo insoddisfacente, un teorico e un drammaturgo, sono attratto dall'aspetto romanzesco non meno che da quello scientifico, e li vedo continuamente entrambi nella condizione umana, non ultima in quella che è la condizione umana per eccellenza, la malattia: gli animali si ammalano, ma solo l'uomo cade radicalmente in preda alla malattia. [da L'uomo che scambiò sua moglie per un cappello]
Il cadere in preda della propria malattia in effetti, è un circolo vizioso che a partire dal tuo corpo infetta poi la mente e il pensiero, la personalità, portandoti a identificare te stesso con il male che ti ha colpito, facendolo tuo e parte indissolubile di te anche se tu non lo vuoi e lo stai combattendo.

Questo è un po' quel che ho provato guardando Still Alice, un film che racconta di Alice, cinquantenne affermata nel mondo accademico e stimata linguista, e di come l'insorgere di una forma rara di morbo di Alzheimer le mangi a poco a poco i ricordi.
Non c'è nulla di esagerato nell'interpretazione di Julianne Moore (che qui vince l'Oscar come miglior attrice protagonista) o di stonato, e difatti l'andamento sempre più instabile e infine apatico della sua personalità si esprime perfettamente nell'ambiente intimo e familiare che le sta attorno. Così come non vi sono trovate semi miracolose o svolte eccezionali tipiche dei film che illudono lo spettatore verso una finta risoluzione che poi sfocerà nella lacrima facile.

Still Alice è composto, reale, disperato. La domanda che fa sorgere non è tanto chi sei tu?, perché il tu non è mai messo in discussione, quanto invece il che cosa sei tu?, e cioè, qual è quella parte di te che rende la tua persona quella che è veramente. Una questione che va a scomodare in un'unica volta due soggetti differenti: il malato e chi gli sta attorno.
Sempre il neurologo Sacks, nel suo saggio, fa una riflessione proprio riguardo l'essenza della persona, quella cosa che rende te unicamente te, e che per maggior impatto lui identifica come anima. Se l'anima esiste, afferma, allora di sicuro il suo posto è nella memoria, poiché è nella memoria che noi costruiamo continuamente, istante dopo istante, la nostra persona, l'identità. E questo implica, come ci mostra poi il film, che la perdita dei ricordi corrisponde a una perdita enorme di noi e che tanto più ne smarriamo tanto più moriamo. 
Still Alice parla di morte ma non intesa come quella del corpo, bensì dell'anima, se si vuole utilizzare il paragone di Sacks. La protagonista ha paura di morire perché è cosciente, almeno nella sua fase più lucida, di ciò che comporterà il progredire dell'Alzheimer: non esistere più per se stessa, ma vivere come ricordo negli occhi di chi ancora guarda il suo corpo.

15/10/15

Interstellar è meglio di The Martian.

Che titolo stronzo.
Lo so che siete qui col sopracciglio alzato e il dito indice scagliato contro lo schermo urlando Sei un coglione non capisci nienteeee! Difatti è tutta una trappola. Un modo per attirare l'attenzione. Penso davvero che Interstellar sia meglio di The Martian? Beh, è un'affermazione poco sensata. Quel che voglio raccontarvi piuttosto è perché preferisco il primo rispetto al secondo, secondo i miei personalissimi gusti. E quindi...

Partiamo da The Martian.
In breve, Sopravvissuto narra di Mark Watney, un astronauta che a seguito di un incidente durante una missione su Marte viene creduto morto e quindi abbandonato dai compagni, in fuga dal pianeta a causa di una tempesta. Il film si sviluppa raccontando di come Mark riuscirà poi a sopravvivere da solo risolvendo i problemi più disparati, ingegnandosi di volta in volta per procurarsi energia, cibo e mezzi di trasporto e comunicazione in grado di proiettarlo non solo alla momentanea fuga dalla morte, ma ad un vero e proprio piano per ricongiungersi ai propri compagni, per tornare a casa. 
Quel che emerge da tutto questo è prima di tutto la valorizzazione dell'intelligenza umana, in grado di creare e costruire (sia concettualmente che praticamente) il domani. Se Mark riesce nei suoi scopi è perché ha una mente che funziona, attiva, come quelle del suo equipaggio e di chi alla Nasa si dedica al suo recupero. E non solo. 
Altro tema importante è la forza di crederci sempre, di non arrendersi, di lottare. L'intelligenza di per sé non vale nulla se non viene applicata in un contesto che la fa fruttare, e questo Mark ce lo mostra sfidando ogni probabilità sfavorevole alla sua sopravvivenza. Se c'è una soluzione, una strategia percorribile, allora percorrila tutta, corri, non mollare! 
Un messaggio che potremmo adottare anche noi nel nostro piccolo volendo. Smettendo di crogiolarci nell'apatia o nella paura, osando un po', sognando con ambizione e mettendo in pratica.

25/09/15

I Origins e gli occhi come specchio dell'anima

''Forse alcuni umani sono mutati e hanno un nuovo senso, un senso spirituale e percepiscono un mondo che è proprio sopra di noi e ovunque, proprio come la luce per quei vermi.''

Studiare l'evoluzione dell'occhio umano per poter finalmente mettere la parola fine all'eterno dibattito sull'esistenza o meno di Dio, di un creatore intelligente. Questo è l'obiettivo, a tratti quasi ossessione, del biologo molecolare Ian Gray, giovane brillante e talentuoso con una vera e propria attrazione per gli occhi delle persone. Passione che un giorno, durante una festa in maschera, lo porta a incontrarne due di molto speciali, quelli di una ragazza: Sofi.

Il film, dopo un breve excursus sul lavoro dello scienziato, racconta l'avvicinamento e lo scontro tra il pragmatico Ian e la più spirituale Sofi, mostrando una storia d'amore piena di passione, contraddizioni e domande, le stesse che il protagonista evita di porsi da sempre poiché fermamente convinto della loro intrinseca inutilità e insensatezza. Lui crede nei fatti, la fede non lo riguarda.
Da qui allora inizia un percorso pieno di meraviglia, difficoltà e anche soddisfazioni, che culmina nel maturo convincimento di Ian del proprio ideale di realtà, sfociando poi improvvisamente nel dubbio assoluto, nel ripresentarsi insistente di quelle domande che lui nemmeno voleva considerare. Comincia una rivoluzione, un cambio di prospettiva che forse può mettere in discussione ogni cosa.

Difficile capire se I Origins mi abbia soddisfatto o meno. Davvero, non lo capisco. Se da un lato la parte umana mostrata dai personaggi principali mi ha convinto più del dovuto, altrettanto non è stato per il modo in cui si è voluta sviluppare la ricerca della risposta essenziale. 
Il tema è chiaramente quello proposto nei primi momenti: Dio, la vita dopo la morte, ciò in cui è lecito credere o meno. Ed è anche efficace sviluppare questo dibattito interiore portandolo sul piano prettamente scientifico, sistemandolo su un tavolo da laboratorio per sezionarlo passo passo, fino a raggiungere la certezza assoluta al fatto che No, non ci sia nulla dopo, Dio non esiste, oppure che Sì, qualcosa, una luce che non possiamo percepire perché privi di un senso spirituale che ce la spieghi, c'è. 

Come dicevo però non mi ha convinto la maniera. 
Se il cuore di tutto è la domanda trita e ritrita posta in migliaia di opere prima di questa, qui efficacemente presentata grazie a un pizzico di innovazione in più, è un peccato venga banalizzato a causa di un contesto che non ne valorizza gli sviluppi. Sono pochi i momenti in cui la curiosità per l'ossessiva ricerca di Ian, e quindi per l'intera messa in discussione dei propri valori, sia la stessa che si percepisce da spettatori. Lo svolgimento del racconto manca come di empatia, non ti fa sentire, e questo è un peccato. 
Questo è forse il motivo per cui non capisco se sono soddisfatto o meno. Un'idea originale nel discutere di qualcosa che tocca tutti noi nel profondo, utilizzando gli occhi visti come specchio in cui e su cui riflettere, ma un modo di raccontarla che personalmente non è riuscito a far breccia e toccare quelle corde. 

16/08/15

Ant-Man | Le dimensioni non contano, basta saperlo usare!

Ultimo film Marvel della fase 2, Ant-Man è la pellicola sul supereroe col super potere di diventare piccolo come un insetto e comandare le formiche, così da rendersi irritante disturbando i vostri picnic e farsi accoppare facile facile con una sola pedata, con un po' di Raid o con una racchetta elettrificata scaccia insetti. Utile! Ti vogliamo tra gli Avengers Ant-Man, sei fortissimo cazzo!

Quando inizi a guardarlo ti chiedi davvero come cazzo faccia uno col potere di diventare piccolo ad essere in qualche modo utile. Ok, gli indizi te li danno: Scott Lang, il protagonista, è un ladro provetto, sa infiltrarsi ovunque voglia, quindi se si rimpicciolisce il proprio lavoro lo fa pure meglio, no? Sì va bene, ma a parte questo? A parte rubare cose? Che può fare di fico? A noi ci piacciono i super eroi che si danno le mazzate, quelli che boom, sbam, sdang! Cazzo la guardiamo a fare una roba coi poteri se non ci fai sentire la potenza dei cazzotti di Hulk, i booster brucia culo di Iron Man, la faccia come la menta di Cap America o le tette esplosive di Vedova Nera?

Eroe di contorno con bonus punti trama!
Ant-Man è l'eroe che entrerà negli Avengers per fare la parte intelligente delle missioni mentre tutti gli altri spaccheranno a caso città e persone e monumenti importanti, così da rendere i prossimi episodi di gruppo dell'universo Marvel non solo degli hamburger d'effetti speciali che una volta ingurgitati ti lasceranno uno strano senso di disagio alla panza mandandoti a cacare, ma qualcosina di più, e per di più si intende senso logico degli eventi, storia! Perché se ve lo steste chiedendo, a me, Age of Ultron, ha fatto quasi schifo. La città volante sul finale ragazzi, la fottuta città volante... ho pianto sangue!

Ma comunque... Ant-Man!
Questo risulta uno dei migliori prodotti (ovviamente a mio parere, inutili teste di melma già col dito carico di spocchia puntato) visti fin'ora. C'è molta ironia, certo, ma funzionale e funzionante, proprio come accade coi Guardoni della Glassa e non come per quell'abboffaminchia di Thor 2 in metropolitana; c'è anche una trama abbastanza carina e interessante, e soprattutto una buonissima caratterizzazione del personaggio principale. Così, per dire, è paragonabile un pochino a Tony Stark per simpatia e senso dell'umorismo, con giusto un po' di idiozia in più. Fico insomma! Sì lo so, continuo a dire fico come un teenager. A non essere un granché fico però è purtroppo il nemico di turno, ma ormai c'abbiamo fatto l'abitudine, vero Ultron?

Altro da dire?
Vi divertirete molto. E sorpresa sorpresa, il super potere di diventare piccolo non è affatto una scemata, ma è sfruttato in maniera intelligente per soluzioni visive interessanti e trovate sceniche davvero esilaranti. Che poi, per sto Ant-Man, non è che le dimensioni contino molto. Come dicono sempre: Ce l'hai piccolo? Basta saperlo usare! E qui lo sanno usare. 

P.s Falcon fa cagare al cazzo! Qualcuno lo uccida!!!

16/06/15

Jurassic World spara razzi dal culo.

Guardando trailer e spot tv, quella corsa dei Velociraptor alleati col tizio in moto pareva la cosa più stupida che si potesse fare. Cioè... Velociraptor ammaestrati? Poi guardi il film e Jurassic World fa così schifo che d'un tratto l'allegra combriccola a confronto di tutto il resto pare una nota più che positiva.
Ah ah ahhh, non hai detto la parola magica, ah ah ahhh non hai detto la parola magica, ah ah ahhh, ah ah ahhh... la parola magica per questo film è schifo e il perché è presto detto.

Intanto non c'è il ciccione, quello che ha incasinato il parco nel primo film. Ed è importante perché tutta quella gran situazione di sterco lì, a Jurassic Park, aveva senso grazie a lui. Certo, scherzare con madre natura è rischioso e non giochiamo col fuoco e attenti che qui non si può manco stare tranquilli che se uno Pterodattilo caga muori fracassato per l'impatto; però era il ciccione la vera causa del primo fallimento del parco. Dopodiché, levate le tende limonando duro un Dilophosaurus, i problemi si sono puntualmente succeduti causa delle cappelle inenarrabili. 
Oggi il Jurassic World, l'enorme attrazione coi dinosauri veri, esiste davvero ed è una macchina da soldi. E' tecnologicamente avanzatissimo, super organizzato, perfettamente attrezzato, e insomma, come diceva John Hammond (you know nothing John Hammond), qui non badiamo a spese. Va addirittura così bene che la gente, negli anni, arriva ad abituarsi all'idea che esista quest'isola coi mostri, tant'è che finisce col prenderli a noia. Soluzione? Nuove attrazioni, nuovi dinosauri più grossi, più cattivi, più denti e più wow! Allora giochiamo ai piccoli genetisti e creiamo qualcosa di più stronzo del T-Rex! Sì, che bell'idea. E come lo chiamiamo? Megazord Rex? No. La mimetizzazione c'è, la super intelligenza pure, la visione termica presente, il gps ce l'ha, google translate ultimo modello è installato, ma i razzi dal culo non li spara ancora, teniamoci sto nome per il prossimo modello. Facciamo Indomitus Rex intanto?

La premessa allora è che il nuovo arrivato è parecchio furbo, e noi va bene, inarchiamo un attimo il sopracciglio ma mandiamo giù. Una volta accettata è quindi chiaro che la sua fuga sia inevitabile, perché è lì che vuole parare il film: un bestione scatenato in un parco pieno di visitatori. Il problema è che i nostri fantastici protagonisti fanno una scelta più deficiente dell'altra per sistemare la situazione, e con la scusa che l'Indomitus è costato un patrimonio non lo abbattono andando a perdere più del triplo del costo di sto stronzo con: attrezzature distrutte, decine di dinosauri accoppati, visitatori uccisi, tecnici ammazzati, squadre speciali di sicurezza sodomizzate, dinosauri volanti fuggiti in giro per il mondo a cui nessuno frega un cazzo. Tutto finché non si decide di... vabè, non lo dico ma si capisce.

Glissando sulla trama un po' scema, anzi ricalcata male dagli altri episodi, uno può pure dire che sia il resto a salvare Jurassic World. Purtroppo per noi però... ah ah ahhh, non hai detto la parola magica, ah ah ahhh... c'è lo schifo pure qui.
Personaggi non troppo interessanti, se non appunto Lord Star dei Guardoni della Glassa che ci grazia con una parte vagamente accattivante. Assieme a lui ci fracassano le gonadi due marmocchi deficienti, una zia e direttrice del parco rimbambita (ma di soddisfacente gnocchezza), il nero francese di Quasi Amici che sta lì a ridere e farsi i cannoni quando non c'è proprio un cazzo da ridere, e il classico militare stronzo che farà una morte brutta bruttissima.
Ambientazione troppo luminosa, poco paurosa, atmosfera priva di pathos e ansia, non aiutata affatto dalle musiche, in certi punti davvero ridicole, e nemmeno dai dialoghi, noiosi, superficiali e spesso affossati da alcune battute più fuori luogo dei raptor col bluetooth. E quando verso il finale si spera in un tripudio di sangue e morte, che a sto punto facciamo che i dinosauri vincono e sti coglioni si fottano, niente. Abbiamo la lotta finale che tutti i bambini scemi vorrebbero vedere (me compreso): T-Rex vs Indomitus Rex. Maddai! Jurassic Park contro Jurassic World. E poi venitemi a dire che sbaglio a far paragoni!

Concludo con una domanda.
Davvero vi è piaciuta sta porcheria? Credo che la mia voglia di fare il paleontologo sia stata ammazzata per sempre.

06/05/15

Wild e la ricerca della bellezza

Cheryl, sfinita, arriva nel punto più alto del pendio. Si sfila le calze e libera i piedi, pieni di vesciche e con un'unghia incarnita, e uno degli scarponi, disgraziatamente, rotola giù, giù, giù... 
La giovane urla con tutto il fiato in gola e in una manciata di secondi, assieme all'urlo, vedi cosa nasconde quel gesto disperato. Una singola scena da pelle d'oca, che vale tutto il film, credetemi.

Oggi si parla di Wild, film del 2014 per la regia di Jean-Marc Valleé, che riprende i ricordi della vera Cheryl Strayed che nel suo libro racconta la propria esperienza al Pacific Crest Trial, un sentiero escursionistico di oltre 4000km.

Cheryl un giorno decide di staccare la spina e cominciare a viaggiare, e armata di zaino (più grande di lei) e non troppa convinzione affronta un percorso in solitaria in mezzo alla natura selvaggia, lontana dalla civiltà. Una premessa questa, che ricorda molto un'altra pellicola di viaggio, Into the Wild, basata sulle memorie di quell'Alexander Supertramp col sogno fisso dell'Alaska, ma che in realtà prende tutt'altra direzione. Il racconto di Cheryl non è un allontanamento disgustato dalla società, o una sua critica, ma una fuga dalla propria vita per trovare una prospettiva diversa con cui guardarla, scacciando i propri demoni e imparando a convivere assieme ai rimorsi.

Il viaggio è un pretesto per raccontare ciò che la protagonista ha vissuto prima. I momenti di fatica, di bellezza, di paura, sono allora alternati a precisi flashback che approfondiscono man mano il passato di Cheryl, svelando di un'infanzia difficile con un padre alcolizzato, di un rapporto sentimentale travagliato col marito, di molte strade sbagliate e soprattutto, di una madre sempre presente anche se infinitamente distante da lei.
Altra grande protagonista, oltre a Reese Witherspoon, è quindi la fantastica Laura Dern, che interpreta una quarantenne amante dei propri figli e della propria vita nonostante tutto, una che ha deciso di rimettersi in gioco, anche tornando a studiare nella stessa scuola di Cheryl, una che guarda la vita col sorriso sulle labbra, perché in fondo, nonostante le difficoltà, si deve guardare alla bellezza.
Ed è proprio questa che Cheryl imparerà a trovare verso la fine del suo percorso, rivivendo e vivendo attimi di panico, di solitudine, di gioia immensa, di quiete e anche di dolore; imparerà ad andare avanti e a costruire qualcosa di nuovo, con lo stesso sorriso di sua madre.

Wild è un film consigliatissimo. Mai noioso, splendido visivamente, fortissimo per come alterna e mostra il momento del viaggio e l'interiorità della protagonista. E basta quella prima scena di urlo disperato per rimanerne conquistati.

13/04/15

Ehi, io sono Chappie, puttana di figlio!

Con Chappie, o meglio, Humandroid, perché qui in Italia han voluto chiamarlo così dato che il titolo originale pareva troppo simile a chiappe, Neill Blomkamp rialza la testa dopo quel mezzo disastro di Elysium, ma lo fa lasciandoti una strana impressione intorno.
Ambientato in un futuro prossimo nell'amata Johannesburg, Humandroid racconta della creazione della prima intelligenza artificiale, Chappie appunto, un robot senziente in grado di imparare, emozionarsi, pensare e soprattutto accorgersi di essere vivo, di avere una coscienza. 
La vicenda, in breve, mostra di come questa A.I bambino si sviluppi venendo educata sia dal suo creatore Dion, sia da una banda di criminali scoppiati quali sono Yolandi e Ninja, due gangster disagiati che vogliono sfruttarne il potenziale per utilizzarlo nel loro prossimo colpo. Con la trama mi fermo qui. 

Mi è piaciuto? Sì e no.
La sensazione a fine visione è appunto quella di aver visto un film strano. Strano come Yolandi e Ninja, i due criminali protagonisti che educano Chappie, due sudafricani originali al 100% che interpretano realmente la parte di loro stessi, quei Yolandi Visser e Ninja conosciuti come duo musicale Die Antwoord. Strano come Hugh Jackman che non è mai stato così distante da Wolverine, con dei capelli tamarri osceni che ben si inseriscono al resto della tamarraggine della criminalità urbana fornita da Blomkamp. Strano come il comparto musicale, un mix alternato di Hans Zimmer (sempre fantastico ma qui più elettronico che mai) e i sopracitati Die Antwoord. 

02/04/15

L'esperimento carcerario di Stanford: le ragioni del male.

Durante una serie di lezioni del corso psicologia sociale mi sono imbattuto nell'esperimento carcerario di Stanford. Ne avete mai sentito parlare? Beh, nel caso ve ne parlo un po' io, perché è qualcosa di tanto affascinante quanto agghiacciante, e volevo suggerirvi, proprio agganciandomi a questo studio, la visione del film The Experiment, e magari anche la lettura del saggio La psicologia del male, che tra le sue pagine lo prende in esame.
Ma partiamo dall'inizio, o meglio, dalla fine... 

Nel 2003 scoppia lo scandalo della prigione di Abu Ghraib, situata a una trentina di chilometri da Baghdad. I media ci bombardano di immagini che ritraggono militari statunitensi intenti a torturare e seviziare prigionieri iracheni, ridendo e godendosela di brutto. E' uno scandalo perché quelle immagini, e vi basterà fare una ricerca rapida rapida su google, fanno davvero schifo.
Le accuse più pesanti gravano sul sergente Ivan Frederick, il più alto in grado tra i militari imputati, e l'opinione pubblica non è nemmeno pienamente felice nel saperlo condannato a soli otto anni per quelle azioni riprovevoli, perché le mele marce del sistema vanno gettate, il male c'è e va punito.

Il male.
Ad esaminare la vicenda di Abu Ghraib è chiamato anche il famoso psicologico sociale Phil Zimbardo, che ben conscio del fatto che il male, in sé, non esista affatto, riporta alla memoria un suo vecchio esperimento: quello del carcere di Stanford.
Era il 1971, e su sessantacinque studenti che avevano risposto a un annuncio che cercava volontari per uno studio sulla vita in prigione, Zimbardo ne scelse 18, cioè quelli privi di precedenti penali e col migliore stato psicofisico, assicurandosi che nessuno tra i partecipanti si conoscesse. Questi vennero divisi per sorteggio in due gruppi da 9 (si fece però attenzione che fossero psicologicamente simili), a cui furono assegnati altrettanti ruoli: quello delle guardie e quello dei prigionieri.
Lo studio prevedeva un isolamento totale in carcere simulato della durata complessiva di undici giorni. Le guardie, a gruppi di tre, avrebbero sostenuto turni di 8 ore, dopo le quali sarebbero tornate a vivere la loro giornata, proprio come in un vero lavoro. I detenuti invece dovevano rimanere imprigionati per tutta la durata dell'esperimento.

26/03/15

Birdman non sa dove volare

Batteria in sottofondo e nelle orecchie del protagonista e poi si parte: un lunghissimo piano sequenza che pare non finire mai, mai, mai... Birdman ha un ritmo esagerato, è inarrestabile, è come la testa incasinata di Riggan Thomson, ex super star degli anni novanta divenuta tale grazie all'interpretazione di Birdman appunto, un supereroe in calzamaglia che ora lo ossessiona e lo tenta in ogni modo, parlandogli continuamente. Impossibile non notare quella strizzata d'occhio all'effettiva carriera di Michael Keaton, il Batman dei film di Tim Burton, caduto un po' nel dimenticatoio dopo quel botto al botteghino.

Birdman mi è piaciuto davvero tantissimo. E' intelligente, non annoia mai, è vivo! Ovunque ti giri segui questa messa in scena di uno spettacolo teatrale a Broadway aggirandoti per il dietro le quinte, sia durante le varie anteprime che precedono il debutto vero e proprio, sia nei momenti di pausa tra l'una e l'altra, nell'attesa di capire se il pubblico abbia apprezzato o no, se stia funzionando, se ci sia qualcosa da sistemare. Qualcosa da sistemare, ovviamente, c'è.
Mike Shiner per esempio, un fantastico Edward Norton, grottesco individuo che si ritrova, parole sue, a recitare ovunque nella sua vita, ma non quando è in scena a teatro. Lì è vero, lì vive, lì esce ciò che è veramente. Un attore quindi assolutamente talentuoso e assolutamente ostico, impegnativo da tenere sotto controllo, almeno finché non lo si comprende, e che fornisce a Riggan più di un pretesto per perdersi nelle proprie ossessioni.

E' proprio partendo dalla fissazione del protagonista infatti che Birdman tira in ballo il conflitto interiore di questa celebrità, considerata appunto soltanto per la fama, non per il talento recitativo, che investe energie e soldi in questa enorme rivisitazione di un opera di Raymond Carver forse non comprendendola nemmeno troppo, coprendosi probabilmente di ridicolo, sicuramente di dubbi.
Riggan rimugina continuamente sulla propria storia, sul suo lavoro, su cosa resti della propria immagine alla gente e su ciò che ne sarà una volta sparito, e lo fa a discapito delle proprie relazioni, presentandosi quindi come pessimo padre, come ex marito, e come amante insensibile. Non c'è spazio nella sua mente per nulla che non sia quest'ultimo ambizioso progetto per riportarsi in carreggiata, ma non quella già percorsa come Birdman, bensì una nuova, illuminata dai riflettori della vera arte.

L'ironia graffiante delle situazioni in cui ci si ritrova allora imbastiscono una splendida critica al modo di vedere non soltanto il cinema in sé, ma il talento attoriale, il lavoro che sta dietro a questo, la sua valorizzazione. Tant'è che offeso dalle parole acide di una critica teatrale Thomson beve e si perde tra le strade della propria follia. Accoglie quella vocina, si lascia sopraffare, e comprende che la gente lo vuole ancora, vuole i supereroi come quello che lui era un tempo, vuole le esplosioni, l'azione, le botte, gli effetti speciali, vuole boom boom boom! e non pipponi morali pallosi, vaneggiamenti filosofici da intellettualoidi spocchiosi, roba di spessore stracciamaroni e pesante, perché tanto non ci si capisce niente.

Il punto è che la voce, nella sua verità, ha ragione o ha torto? E' questo il reale stato del pubblico, o questo è quel che un attore deve sopportare, piegare e sfruttare? Che strada scegliere tra le possibilità che gli si presentano? Che sia meglio, invece... spiccare il volo?

12/03/15

Il capitale di Mary Poppins dipende dal suo vizio di forma.

Birdman e Whiplash per me sono impossibili da trovare. Boh, non li proiettano da nessuna parte. Vaffanculo. E allora guardo altro e ve ne parlo...

Vizio di Forma, troppa troppa forma.
Siamo nel 1970 e Doc Sportello è un investigatore privato mega fattone. Un bel giorno la sua ex fidanzata, Shasta, e che diavolo di nome ragazza mia, gli chiede aiuto poiché l'uomo che sta frequentando, il ricco imprenditore Mickey Wolfmann, rischia di finire in manicomio spedito dalla sua attuale moglie, così che lei possa godersi soldi, amante e compagnia bella. 
Doc si mette allora a lavoro ma accade che Shasta sparisce, Wolfmann pure, e partono una decina di altri incasinamenti uno di seguito all'altro e... non ci si capisce più nulla.

Questo vizio di forma, diretto da Paul Thomas Anderson, è la trasposizione cinematografica del romanzo omonimo Inherent Vice, ed è una girandola di situazioni in rapida successione che risulta a tratti molto piacevole tanto quanto parecchio confusa. Probabilmente su carta, avendo un ritmo diverso, non si ha questa problematica, ma qui, credo soprattutto a causa del tempo limitato, lo spettatore (leggete pure Cervello) si perde più volte tentando di stare dietro ai nomi, troppi, e cercando di richiamare volti, situazioni e vicende continuamente citate, modificate e richiamate. Boh! Restano allora la potenza dei personaggi, Doc e il mitico Bigfoot su tutti, e le numerose gag sballate che rendono questa una pellicola da fattoni, coi fattoni, e che fa sentire, causa confusione, un po' fattone pure chi la guarda.
Non per ripetere ciò che han detto voci ben più autorevoli della mia, ma è vero: Vizio di Forma pecca proprio di un vizio di forma. Stilisticamente accattivante ma un po' vuoto, fine a se stesso. Se non lo vedi almeno un paio di volte, o se non hai già letto il romanzo, ciao proprio!

Saving Mr. Banks, il povero Mr. Banks.
Dopo questo film non guarderete mai più il classico Disney Mary Poppins con gli stessi occhi.
Nel '61 Pamela Travers, scrittrice, vola a Hollywood per trattare i diritti del proprio romanzo con Walt Disney, deciso a farne un lungometraggio, Mary Poppins appunto, così che tutti possano bearsi di quel mitico personaggio. 
Un po' lento inizialmente e poi via, il film decolla e si va a scavare (ma se ho appena detto che decolla?) in un continuo alternarsi di salti temporali tra presente, con la difficile lavorazione del film, e passato, in un'Australia di inizio secolo dove l'autrice vive la propria infanzia.
Dico non guarderete più il classico con gli stessi occhi perché capirete, osservando l'insopportabile comportamento della Travers durante l'adattamento, cosa ci sia davvero dietro la figura di Mary Poppins e chi essa sia stata nella realtà, ma soprattutto, comprenderete il suo scopo, cioè cosa veramente la bambinaia stesse facendo in casa Banks.

Walt: ''No ai capricci e ai sentimenti” dice la donna che ha mandato una tata volante con un ombrello parlante a salvare dei bambini.

P.L. Travers: Secondo Lei Mary Poppins è andata a salvare i bambini, signor Disney? Oh, Cielo!

Se non l'avete visto, recuperatelo, davvero.

18/02/15

La vita di Adele vs Il blu è un colore caldo.

Il film La vita di Adele mi incuriosiva parecchio, e ancora di più il fumetto da cui è tratto: Il blu è un colore caldo. Finalmente sono riuscito a vedere il primo e a leggere il secondo, e... risultato? Mi sono piaciuti? E' meglio uno o l'altro? Sono veramente porni come dicono? Scoprivatelo qua sotto!

Il tema centrale di entrambe le opere è ovviamente l'omosessualità. Questa ci viene mostrata attraverso gli occhi di Adele, Clémentine nella controparte cartacea, una quindicenne alla scoperta della propria sessualità che si accorge, non senza l'insorgere di una marea di dubbi, di non essere del tutto a proprio agio nella relazione con un ragazzo. Conoscerà quindi Emma, una ragazza più grande dai capelli tutti blu, e per lei proverà subito un'attrazione irresistibile, senza controllo.

La vita di Adele.
E' un film abbastanza lungo, il cui ritmo non aiuta di certo. Mi è piaciuto, certo, ma non posso non dire che qualche volta fa capolino la noia. Da un lato questo è dovuto alla lungaggine delle scene tra Emma e Adele, da quelle dei loro primi incontri, delle chiacchierate, degli sguardi, arrivando a agli incontri sessuali, che per carità, si guardano con interesse (che poi l'attrice che interpreta Adele è veramente una bonazza che ciao proprio!) ma risultano persino a te, spettatore col durello, piuttosto lente. Non è un porno, quindi perché dilungarsi tanto?
Dall'altro invece il tedio lo si sente nello scorrere degli eventi. Si parla infatti di una vita normale, che scorre via senza alcun evento particolarmente degno di nota. Certo l'omosessualità vuole essere presentata nella sua normalità, e questo non è affatto un punto a sfavore, ma le difficoltà che stanno dietro a questa storia non vengono assolutamente mostrate. E' accennata la tensione tra Adele e i genitori, ben mostrata, e per fortuna, quella con gli amici di scuola, ma per il resto nulla. C'è una storia normale, come tutte le altre, fatta di passione, vita quotidiana, sbagli, litigi, e appunto, noia.
Ottimo invece uno spunto che nel fumetto è completamente assente, ovvero il tema della mancanza. Adele ed Emma, in un certo punto della storia, non si vedono, e ci viene mostrata l'ossessione della prima per la seconda, che percepisce la sua assenza in maniera fortissima. Un'assenza non solo dettata dall'affetto, ma anche e soprattutto dal sesso, dagli stimoli fisici e dal piacere carnale che la distanza fa riaffiorare in continuazione mischiandosi tragicamente alla tristezza, al malessere. Questo mi è piaciuto, il tema della mancanza, non più visto finalmente sotto il mero punto di vista dell'amore platonico e cazzate simili. 

10/02/15

Se tu sei Alabama, mi dici io chi sono? Monroe?!

Si parte con un sottofondo costante di musica, genere bluegrass, il country nella sua forma più pura, che lega la vita di Elise e Didier, due persone tra loro molto diverse ma capaci di innamorarsi e di vivere la loro relazione in totale sintonia. E poi entra in scena Maybelle, la loro piccola, destinata a cambiarne per sempre vita e storia, nel bene e nel male.

Ammetto fin da subito che Alabama Monroe mi è piaciuto davvero tanto. A partire dal modo in cui viene raccontato, un'alternanza di continui salti temporali che s'intrecciano sottolineando di volta in volta situazioni visive e uditive totalmente in contrasto tra loro, quindi valorizzandole, passando poi per la musica, sempre presente, e per la delicatezza e per il realismo con cui ci viene presentata tutta la vicenda. Una storia che è essenzialmente d'amore, preso nel senso più ampio del termine, che difatti ci viene mostrato in ogni suo lato, dall'affetto al sesso, dal volersi bene all'intesa, puntato infine con forza su quello rivolto verso un figlio. 
Ci sono proprio per questo molte figure e molti temi che ruotano attorno ai protagonisti. C'è ovviamente loro figlia Maybelle, che porta con sé quelli della malattia e del dolore, così come il loro gruppo, un'allegra e strambissima combriccola di musicisti che con loro condivide non solo passioni e risate, ma qualsiasi momento importante. E di molto importante, infine, ci sono Dio, la scienza, e la morte.

Non che se ne parli in maniera pesante ed esplicita di questi tre aspetti, che anzi sono componente essenziale di questo normale scorcio di vita, ma vengono fatti sentire e bene per la durezza e l'estrema bellezza di ciò che si vede. Impossibile restare indifferenti agli scontri ideologici totalmente opposti di Elise e Didier, la prima credente e il secondo fortemente coi piedi per terra, razionale. Impossibile schierarsi da uno o dall'altro lato, o meglio difficile, poiché si empatizza con entrambi. Perché da una parte è evidente quanto il concetto di Dio, di entità superiore e di fuga dalla morte siano un sollievo, una via d'uscita per non perdersi nel dolore, ma dall'altra è fortissima la critica rivolta proprio a ciò che questo credere comporta. Una società, a detta di Didier, bigotta, limitata da se stessa e incapace di scalzare un Dio di cui non avrebbe affatto bisogno, se non come salvagente dal terrore appunto; una società che impedisce al pensiero logico, scientifico, di progredire e di imparare a conoscere davvero il mondo, o nel loro specifico caso, la malattia, quindi una cura.

Non si vuole comunque salvare una visione piuttosto che un'altra. Semplicemente si racconta un dato di fatto, quello di come ogni persona sia diversa dall'altra, libera di scegliere e credere e contemporaneamente legata, condizionata da ciò che ha vissuto e imparato. Soprattutto, si racconta di come l'amore elevi lo spirito umano alla felicità più grande, ma anche al dolore, e alla salvezza. 

19/01/15

Exodus: Ramsexy aveva ragione.

Io e Vale usciamo dalla sala. Ho sempre il sorrisino stampato quando esco dal cinema, pure quando il film fa cacare al cazzo. Non è questo il caso per fortuna.
''Allora?'' le faccio, ''Come ti pareva?''
''Beh dai, non male ma un po' un'americanata, no?''
''Tu stai cercando sooolo guai! Sì, e non c'erano i due sacerdoti che facevano le magie!''
''Vero! Ehh il Principe d'Egitto era figo.''
''Beh, meglio Il principe d'Egitto! Deehh ma Ramses il pelato ti piaceva però!''
''Sì vabè, che figoo! Comunque, sai... mi fa pensare che, sto Dio...''
''Sto Dio?''
''Insomma. Dio si schiera, però voglio dire, li ha creati tutti lui, ha creato l'intera umanità, e perché allora decide di stare solo dalla parte degli ebrei a discapito di tutte le altre popolazioni? E le vuole pure annientare!''
''Beh, gli ebrei credono in lui e vengono torturati e uccisi e...''
''Sì ma che senso ha?''
''Ha dato all'uomo il libero arbitrio. Sì in effetti se gli lasci libertà di scelta non è che puoi prendertela a male.'' 
''Appunto. E poi Ramses che dice...''
''Ramsesxy vorrai dire!''
''Ahah sì esatto, che figoooo. Comunque, Ramsexy che dice Quale fanatico crede in un Dio massacratore di bambini? Cazzo ha ragione!''
''Già, mi sono trovato d'accordo pure io.''
Ridley Scott è proprio un bravo regazzo quando si tratta di mettere in scena lo sfarzo del popolo egizio. E poi i panorami mozzafiato, le ambientazioni perfette e curate, la fotografia pulita e profonda che sicuramente in 3d potrebbe rendere ancora meglio... insomma, una meraviglia per gli occhi questo film, nulla da dire. Però, il resto?
Niente di incredibilmente innovativo a dir la verità, ma forse non è che ci sia molto di cui aspettarsi da una storia del genere. La vicenda di Mosè in effetti la conosciamo tutti, e lo splendido Il principe d'Egitto firmato Dreamworks non è nemmeno così lontano nel tempo da essere dimenticato. Anzi, è proprio a Il principe d'Egitto che ho pensato guardando il film, canticchiando nella testa la canzoncina ''Tu stai cercando soooolo guai!'' di quando l'uomo di Dio affronta i due sacerdoti di Ramses a colpi di magie e trucchi. Non potevo fare a meno di paragonare i due, nonostante la loro rappresentazione non possa essere più diversa.

Il punto è che a fronte di uno spettacolo visivo eccezionale ho trovato davvero debole la narrazione, aspettandomi molto di meglio proprio perché quel che sarebbe dovuto accadere lo conoscevo già. Si va via molto lentamente in alcuni punti, in altri, al contrario, rapidamente, e i collegamenti di troppe parti sembrano non esserci affatto, quasi mancassero scene all'appello, forse tagliate, chi lo sa. I personaggi poi, sono un altro punto debole davvero imbarazzante. Il principe d'Egitto e Ramses, che sono i due protagonisti assoluti, non vengono approfonditi quanto meriterebbero, ma accennati, tratteggiati appena, dando punti interessantissimi che però ti lasciano l'amaro in bocca visto lo spreco. Perché il Mosè schizzato male che vede Dio è davvero splendido, e notare i suoi occhi da pazzo fanatico quando minaccia il fratello è uno dei momenti più strani di tutta la pellicola, pensando appunto che qui si sta parlando di un'opera che esalta Dio stesso e la sua potenza. Dall'altro lato invece, troviamo Ramses, il dio in terra, che si ritrova inadatto, insicuro e ferito nell'orgoglio, ma è talmente preso da sé che con testardaggine continua per la sua strada finché non perde ciò che ha di più caro. Fighi tutti e due allora, per carità, ma... di più, scaviamo di più nell'animo del principe e del faraone. E infine tutti gli altri, che sono niente più che comparse nonostante i nomi importanti che prestano il loro volto, come Aaron Paul, Ben Kingsley, John Turturro e Sigourney Weaver, messi lì giusto per fare presenza.

Se si accenna alla potenza visiva comunque non si può non parlare delle piaghe d'Egitto, rese superbamente e con un pizzico di plausibilità scientifica che di certo non guasta, e quindi di Dio, che è rappresentato non solo come l'arbusto in fiamme che non brucia, ma anche come un bambino, immagine davvero emblematica. Sì perché si evidenzia quanto il Signore sia capriccioso e vanitoso, pieno di rabbia, incomprensibile, contraddittorio nelle sue stesse parole e scelte, proprio come un bambino appunto, e non per ultimi anche violento e sadico, tant'è che quando uccide ogni primogenito maschio del popolo egizio, Ramses distrutto dal dolore chiede a Mosè, così come ci chiediamo anche noi che guardiamo, Quale fanatico crede in un Dio massacratore di bambini?
Una bella critica che può essere estesa alle religioni in generale, ai suoi credenti, e alle contraddizioni che i vari credo si portano appresso.  Il film è comunque promosso, quindi andate con Dio!

12/01/15

Top 10 | i film del 2014

L'anno è ormai finito e dunque, mi chiedevo, perché non fare una top 10 dei film che ho preferito tra quelli visti durante il 2014 al cinema?
Ecco, appunto, non c'è risposta, quindi la faccio! Pronti? Viaaa...
Ah già, solo un secondo. Cliccando sui titoli finirete alle varie recensioni. E ora via!

10 White Bird in a blizzard
Qui doveva starci Grand Budapest Hotel (quindi se volete lanciatemi pallettoni di cacca cinefili cari, sono pronto) ma giusto all'ultimo arriva l'uccelletto bianco che lo scalza.
La madre di Kat scompare da un giorno all'altro senza lasciare traccia. Siamo a cavallo tra gli anni '80 e '90 e viviamo la storia di un'adolescente tra sesso, amicizia e nuove difficoltà familiari. Scopriamo inoltre il conflitto misto a complicità tra madre (mentalmente instabile) e figlia, alternando leggerezza e mistero, passioni e incubi, certezze e cose non dette. Una Shailene Woodley fantastica e un sound in sottofondo che rimarca quegli anni lasciando un sorriso nostalgico. Imperdibile!

Dopo X-men first class si gioca a fondere la vecchia saga con il più recente reboot, e ci si riesce alla grande, dando coerenza, aggiustando buchi logici provenienti dagli altri episodi, e inaugurando un prossimo capitolo da far venire l'acquolina in bocca. Il film in sé, comunque, è una bomba. 

Secondo capitolo del reboot de Il pianeta delle scimmie, che raccoglie l'ottima eredità del suo episodio di lancio e ci porta a vedere uomini e scimmie sempre più simili tra loro, con gli stessi pregi e gli stessi terribili difetti. 

Un esperimento senza precedenti che vede un film girato nell'arco di 12 anni, con gli stessi attori che crescono e interpretano la vita di una famiglia in continuo divenire. Per qualcuno può essere palloso, per me è estremamente interessante.

Ho finito l'anno con questa ciliegina sulla torta e ne sono davvero felice. Un Ben Affleck in parte e una Rosamund Pike fantastica. Ambientazione fredda e precisa, una colonna sonora tagliente ed efficiente. Merita!

5 Italy in a day
Per quanto sia... empatico, diciamo, io non mi commuovo praticamente mai di fronte a un film. Qui mi è scesa una lacrimuccia. Italy in a day è bellissimo, poche storie.

McConaugay è dannatamente bravo, e ci mostra la lotta di un uomo prima contro la sua malattia e poi contro un sistema che pensa più ai propri sporchi soldi che alla salute dei pazienti, perché anche la malattia in questo mondo è un dannato business.

Adoro Christopher Nolan e mi aspettavo un capolavoro da questo Interstellar. Le mie aspettative altissime sono state deluse però, perché non ne è uscito un capolavoro, bensì un ottimo film, che va comunque benissimo, e che ho visto due volte in sala, e io non vado mai due volte in sala. Da non perdere!

Di Caprio, carissimo di Caprio, per quest'intepretazione ti amo, ma forse amo di più quella bonazza che ti bombi nel film. Di Caprio, Leo carissimissimo, in The wolf of Wall Street, sei comunque un grande.

Un film perfetto, visionario, dolce, toccante, intelligente. Non solo Her è il mio film preferito dell'anno, ma è forse diventato uno dei miei preferiti di sempre. Ma ho già speso tantissime parole per questa pellicola, quindi non aggiungo altro, se non Andate a vederlo cazzo!

E voi, cari donzelli, che mi dite? Quali sono stati i vostri film preferiti per questo concluso 2014?

07/01/15

American Sniper il cecchino, White bird in a blizzard le bombe!

American Sniper
Clint Eastwood ci porta a conoscere Chris Kyle, un Bradley Cooper super pompatissimo che interpreta il soldato americano divenuto una vera e propria leggenda, ovvero il cecchino più letale nella storia degli Stati Uniti. 
Un film in cui i momenti di grande tensione non si contano, tant'è che partiamo subito da Kyle in missione in Iraq, intento a proteggere dall'alto come un angelo custode i marines sul campo di battaglia, col mirino puntato su una donna e su un bambino forse armati. Uno dei temi principali è quindi il modo in cui chi sta dietro l'arma affronta la decisione di premere o meno il grilletto, dato che poi con quelle morti ci deve convivere per il resto della vita. E si scava allora indietro, nell'infanzia del protagonista, dandogli un background che spieghi perché si trovi in missione, come sia arrivato a quel punto e quali siano i principi che lo guidano.

Non si può dire molto di American Sniper senza imbattersi in spoiler, anche perché la trama in sé, basata sull'autobiografia dello stesso Kyle, alterna periodi di missione con momenti di ritorno alla vita tra i civili, quella di marito e padre. Si può però parlare degli intenti di Clint Eastwood, che per quanto registicamente regali una visione coi controcazzi, non fa lo stesso sul piano dei contenuti. Questo perché, ovviamente a parere mio, accenna soltanto a un paio di tematiche importanti ma poi non le sviluppa. E' come un cecchino che prende di mira il suo bersaglio ma poi si rifiuta di sparare per chissà quale motivo.
Risultato? Ne esce fuori un film buono, ma piuttosto vuoto, che anzi, per chi non digerisce molto l'american way of life potrebbe addirittura infastidire, sembrando una mera esaltazione del classico eroe americano patriota invicibile supermuscoloso e supergiusto. Non c'è una riflessione che sia una, nella testa del cecchino, non c'è un ripensamento, un tentennamento, nemmeno un ragionamento sulla guerra che sta combattendo, sul fatto che sia sensato o meno quel che fa. Tutto, dentro di lui, pare diviso perfettamente in: loro sono i cattivi, noi i buoni, devo difendere la mia America a tutti i costi perché è il paese più bello del mondo. E anche nel ritorno alla civiltà, con tutte le difficoltà dovute allo stress da campo di battaglia, Eastwood non da segno di voler approfondire, mettendo in scena pochi istanti di dramma interiore e correndo poi con superficialità verso il loro buon esito.
Un peccato quindi perché poteva essere una vera e propria bomba. Ma quindi, se di bombe dobbiam parlare, parliamo di...

White bird in a blizzard
... e parliamo delle bombe di Shailene Woodley, che non mi convinceva propriamente come attrice, ma qui, cari miei, vince tutto, e non solo perché mette in bella vista le sue fantastiche tette. Siamo a cavallo tra gli anni '80 e '90 e la madre di Kat Connors, così di punto in bianco, sparisce senza dire niente a nessuno. Suo padre, un uomo semplice e parte debole della coppia, non si capacita di cosa sia successo, gli investigatori dal canto loro non sembrano giungere da nessuna parte, e lei, in bilico tra la sua vita da adolescente e qualche seduta dallo psicologo ricostruisce di volta in volta scene del proprio rapporto con la madre, dall'infanzia agli ultimi momenti prima della scomparsa.

La narrazione scorre via che è un piacere, e viviamo la vita di Kat, tra sesso, primi amori e avventure (miracolosamente senza un briciolo di romanticismo e sdolcinatezze da diabete come magari il trailer poteva far pensare) che mostra il contrasto nettissimo con la figura della madre, una donna bellissima, elegante, perfetta, ma infelice, a causa soprattutto del matrimonio che ha visto realizzare i suoi sogni ma non ha saputo darle una visione futura di se stessa. Un'eterna ripetizione dei soliti momenti, una routine senza senso snervante, diretta verso la pazzia.
C'è allora il confronto continuo su ciò che la madre era e non è più potuta essere, e quel che la figlia Kat è adesso, combattuto sul classico teatro di guerra che vede figli adolescenti contro genitori, un confronto fatto di continua tensione ma anche di sottile intesa: la figlia riesce spesso a capire sua madre Eve, ma non ne giustifica certo gli atteggiamenti.
Si aggiunge allora il continuo rimando al mistero, ma non puntando sulla volontà di risolverlo, quanto piuttosto mostrando cosa significhi per Kat e suo padre dover andare avanti senza Eve. E si va avanti così senza grossi accadimenti, col tempo che scorre quasi monotono come nella normale vita di tutti i giorni, tra sogni bizzarri della protagonista, che vede la mamma coperta di neve in una tormenta, e qualche parola che di tanto in tanto ne rammenta l'ambiguità e l'instabilità mentale.
Null'altro da aggiungere, data anche l'esigua durata del film, ma sicuramente una delle migliori visioni dello scorso anno, e non lo dico solo per Eva Green o per le tette di Shailene Woodley, lo giuro!

28/12/14

TrailerZ #7

Bentornati al nostro appuntamento coi trailers più interessanti e le news più succccculente. Pronti per una carrellata di roba da non perdere? Viaaa!

Pan

Lo aspettavo da molto perché adoro Peter Pan e non vedo l'ora di arrivare in sala. Inizialmente credevo si parlasse dei giardini di Kensington, dato che lì inizia la leggenda di Peter, poi invece ho notato la direzione presa dal film, che vede come nemico principale Barbanera, nominato invece nel romanzo Peter Pan e Wendy. Vedremo!

Jurassic World

Sono contento per i dinosauri, e tanto, però... che è sta roba?!

Star Wars The force awaken

Spade laser, spade laser, spade laser con la guardia laser!!! Che Forza!

24/12/14

L'amore bugiardo.

L'occhio clinico e preciso di Fincher dona un alone di freddezza a tutta la vicenda di Gone Girl, L'amore bugiardo, nonostante gli eventi si svolgano in piena estate e alla luce del sole. Si respira tensione e nervosismo per tutta la durata della pellicola, che vede Nick Dunne, di ritorno in casa propria, ritrovarsi col soggiorno a soqquadro e con sua moglie Amy sparita nel nulla. Lei non si trova più, è scomparsa, e ben presto il mistero che lui stesso ha inizialmente dato in pasto all'opinione pubblica gli si rivolta contro, portando tutti, autorità comprese, a vederlo come unico indiziato per un possibile omicidio.

A dar sempre maggior peso alle difficoltà del protagonista, e quindi all'interessamento dello spettatore, si aggiungono vari elementi inizialmente tenuti nascosti. A sfondo c'è allora un matrimonio apparentemente perfetto, la coppia che festeggia il quinto anniversario proprio il giorno della sparizione, e una grande affinità tra marito e moglie, che arricchisce l'indagine con indizi più che sinistri, tutti volti a mettere nei guai Nick. E poi c'è chiaramente lui, Nick, un Ben Affleck che interpreta un personaggio a tratti preso dall'ira ma spesso freddo e misurato, addirittura alienato nonostante tutto, molto difficile da capire. E giustamente questo crea il dubbio col quale chi guarda si interroga: ma è lui il vero colpevole, forse un po' sprovveduto nell'architettare il delitto, oppure è la moglie che tenta di incastrarlo? E perché? Non meno importante dunque è la prova dell'attrice Rosamund Pike, la splendida moglie scomparsa, in grado di cambiar volto, da un istante all'altro, a seconda del punto di vista che la vede raccontata. Vale il film, credetemi.
Aggiungiamo poi le micidiali colonne sonore di Trent Reznor e Atticus Ross, con cui si inscenano situazioni dove la tensione la fa da padrona, con crescendi musicali intensi che accompagnano immagini veramente d'impatto (credo ci sia una delle scene più belle che abbia visto), e si mettono in tavola temi forti, primo tra tutti la difficoltà che il matrimonio crea nella coppia, e poi di seguito il tradimento, la complicità, la forza dell'opinione pubblica, la paura e la violenza.

Ci si trova a tifare per uno o per l'altro protagonista. Si giudica, si giustifica, si cerca di soppesare chi abbia veramente la colpa e quanta. E infine si guarda come la costruzione del matrimonio, o dell'amore più in generale, sia tenuta insieme soltanto da un sottile filo di complicità, che non sempre è positiva, anzi, e che comprende quindi delusione, frustrazione, paura e tanto amor proprio. Una visione abbastanza inquietante. Già... direi non ho molta voglia di sposarmi.

02/12/14

Boyhood? Boyhood non succede un cazzo!

Ci siamo io, l'amico Howard (immaginate Howard Wolowitz di Big Bang Theory, che a lui fa piacere essere paragonato a Wolowitz e se mai dovesse leggere sta roba mi sgozzerà come un capretto in un rito satanico), l'amico L'orzo (amante del cereale conosciuto come orzo) e l'amico Cupido (un suo sogno è diventato un racconto e lui un personaggio con questo nome, che trovate qui) che eravamo appena usciti dal cinema.

Howard: Ohhh cazzo finalmente è finito!
Cervello: Ahah Howard non vedeva l'ora, era dai primi 10 minuti che pensava di andar fuori, solo che dopo sei euri di biglietto c'ha ripensato.
Howard: Sì ma che palle era?
Cervello: Dai, la milf almeno ti piaceva, e pure la tipa là.
Cupido: Eh, sentivo che faceva le battutine. Diobon non stava zitto un secondo!
Howard: E insomma Cervello, n'altro film dimmerda mi hai portato a vedere.
Cervello: O ma che cazzo vuoi?
L'orzo: A me è piaciuto invece...
Cervello: Grande L'orzo, lo sapevo. Io te l'avevo promesso che non t'avrei più deluso coi miei film al cine! Gli altri due però in compenso sono rimasti da culo...
L'orzo: Ma sì era particolare, cioè, bell'idea poi. E faceva strano vedere sti attori che crescevano quando sei abituato a vederli cambiare per colpa dell'età.
Howard: Dai ma era na merda! Ma che cazzo dite? Dioo che due maroni non succedeva un cazzo.
Cupido: Ti dirò, è piaciuto anche a me invece. Sì vero, un po' lento, tanto lento, mi sa il più lento che abbia mai visto, ma aveva dei messaggi che mi sono piaciuti. Soprattutto verso il finale, no?
Howard: Sì perché sapevi che stava finendo cazzo, per quello verso il finale ti piaceva!
Cervello: Cazzo Howard, sei senza sentimenti, vai a vederti i Mercenari cazzo!
Howard: Ecco, piuttosto, quello era figo. L'ultimo gli hanno dato abbastanza stelline anche.
Cupido: Ma sul serio, come cazzo fai a dire così?
Howard: Ma scherzate? Madonna oh ma non fanno un cazzo in sto film! Ohhh il padre alcolizzato wow che roba mai vista, ohhh i divorzi mamma mia, cos'è avete i padri alcolizzati voi?
Cupido: Ma no vecchio ma...
Cervello: Cazzo Howard sei insensibile, sei proprio una merda!
L'orzo: Dai, ci vogliono ogni tanto film così. Aveva tutta una costruzione sotto, e poi ti faceva ragionare su certe robe...
Cupido: Sì tipo sul finale soprattutto, ci son state due, tre frasi che... tipo la scena finale con cui si è chiuso, SBAM, bella lì, ci stava.
Howard: Ma era lentoooo, non finiva mai! Cazzo non succedeva niente.
Cervello: Cosa vuoi, era la vita di un tipo. Pensa che la tua è uguale e non succede un cazzo, noiosissima.
Howard: Ma appunto lo so che è na rottura di maroni, ti pare allora che devo andare al cinema a vedermi n'altra rottura di maroni del genere? Abbiamo già la nostra, di vita, cazzo!
L'orzo: Si potrebbe fare un film su un tipo che va a vedere un film sulla vita di qualcun'altro.
Cupido: Ma sì, in effetti era un po' lento dai. La parte finale era un po'...
Howard: Ma se è tre ore che dici che la parte finale era quella che t'è piaciuta di più!
Cupido: Ma sì, ma Dioxxx Howard! Intendevo che...
Cervello: Oh vabè dai, sono arrivato io, ciao regazzi. E tu Howard sei una persona brutta.
Cupido: Ciao Cerv!
L'orzo: Oi ci si becca!
Howard: Sì sì ciao ciao!...

Tranquilli no, non inizio una recensione dopo tutto sto casino. Però sto Boyhood com'è? Sicuramente non ha quel ritmo che ti rapisce, anzi, però... che devo dirvi, secondo me il ritmo qui non c'entra proprio un cazzo, e va bene così. A me è abbastanza piaciuto. Certo è che si va a gusti, o meglio, a tipi di spettatori. Se siete più Cervelli/L'orzi/Cupidi, allora fa per voi, se siete più Howard, allora forse no. Fosse per me vedetevelo insomma! 

21/11/14

Il canto della rivolta fallo un'altra volta.

Katniss coi ribelli e Peeta dall'altro lato, a Capitol City. Due vincitori del distretto 12, nonché amanti agli occhi del pubblico, che si trovano a dover plasmare le masse chi per alimentare il fuoco della rivoluzione e chi invece per tenerle a bada. Ma i due credono davvero nelle loro azioni? Sono davvero liberi di agire secondo il loro volere, oppure sono manipolati da qualcuno che vuole mantenere o viceversa capovolgere il potere, sfruttando una rivoluzione?

Il nuovo capitolo di Hunger Games senza gli Hunger Games non è mica niente male, e se nei primi due episodi si puntava molto sull'aspetto spettacolare, proprio sfruttando i giochi, e lasciando da parte quindi il contesto socio politico in cui vivono gli abitanti di Panem, qui ora avviene il contrario. Non sono molte le scene d'azione, se così si vuol chiamarle, e quelle presenti non sono certamente paragonabili a ciò che accadeva nelle battle royale dei poveri sfigati di turno. Ciò nonostante l'excursus sulla situazione dei ribelli è abbastanza interessante, così come il ritorno del tema della strumentalizzazione dell'immagine a scopo propagandistico.
Si parla molto di ciò che serve, al di là dei mezzi pratici, per fomentare una ribellione, per aizzare gli spiriti rabbiosi contro il giusto obiettivo. Ci viene quindi mostrato come sia necessario lavorare sulla psicologia delle persone, catalizzando la loro rabbia verso un simbolo che li rappresenti e che dia loro un senso comune votato a qualcosa di costruttivo: la rivoluzione appunto. Katniss in questo senso è allora la personificazione della ghiandaia imitatrice, e deve tentare, colpendo gli altri distretti, di farli unire alla causa contro Capitol City.

Non che ci sia molto altro da raccontare, che il film in sé pur avendo spunti interessanti è abbastanza privo di roba importante. E' questo forse un po' il suo limite, presentando inoltre una struttura in cui non si riescono bene a scorgere parte centrale e finale, un po' per mancanza di ritmo e un po' perché probabilmente il meglio è sacrificato in attesa del capitolo definitivo. Un film monco insomma. Interessante quanto volete, perché finalmente non ci si dimentica di Panem e i suoi abitanti, intelligente, dato l'aspetto propagandistico sempre molto presente e qui più sfruttato del solito (sarà molto divertente vedere il teaser trailer del film dentro il film stesso) e ben recitato, dalla Lawrence in particolare. Però monco. 
Aspettiamo la seconda parte allora, attendiamo che il canto della rivolta sia rimandato alla prossima volta, che qui ultimamente si divertono a farci vedere gli episodi conclusivi una metà prima e poi l'altra, sti stronzi. E noi lì a spendere il doppio dei soldi quando non sarebbe tanto brutto tagliare scene morte e piazzare un film da tre ore. Mokingjay part 1, comunque, perde contro i suoi prequel.

10/11/14

La sabbia di Interstellar

C'è la sabbia che avvolge un'umanità che rischia la fame, ci sono lo spazio e il tempo che si piegano oltre i limiti di quel che l'uomo riesca a capire, e poi ci sono un papà, un figlio, e soprattutto una figlia: Murph.

Papà, perché mi avete chiamato come una cosa brutta?
Non è vero.
La legge di Murphy... 
La legge di Murphy non significa che succederà una cosa brutta, ma che tutto quello che può accadere, accadrà.

Dire che Interstellar è un capolavoro è sbagliato, perché non lo è, così come è sbagliato dire che è una merda, che altrimenti io v'incendio l'auto dopo averci cagato sopra. E' un bel film però, un gran bel film, ma questo pare non bastare quando si parla di Christopher Nolan, forse perché ci si era abituati un gran bene con Memento, Inception, Il Cavaliere Oscuro... The Prestige. Sì, l'ho lasciato per ultimo perché lo adoro alla follia. Non sembra bastare poiché ci si diverte tanto a osannare o smerdare, e soprattutto perché si vive di aspettative che poi non si vogliono accettare quando deluse.
Io non sono deluso eh, chiariamo. E' che ce le avevo davvero altissime, e forse volevo un nuovo film da vedere e rivedere senza stancarmi mai, proprio come quel magnifico scontro tra prestigiatori, in cui convergono magia e scienza, del quale Nolan è l'illusionista supremo.

Interstellar però.
Se non lo avete visto di ragioni per farlo ce ne sono parecchie. Abbiamo un futuro pessimo da cui si parte, ambientazione inquietante che scuote le spalle allo spettatore dicendogli Stai attento, che questa Terra che calpesti con noncuranza non può sopportare la tua ingordigia per sempre. Contesto, motore del viaggio interstellare verso un nuovo mondo per sopravvivere, che si porta dietro primo tra tutti il problema del tempo. Il tempo scorre in maniera diversa quando viaggi a velocità prossime a quelle della luce, ed è ugualmente alterato da forze quali la gravità, e quindi capirete che vicino a un bel buco nero non può essere tutto rose e fiori.
Chi è nello spazio ci appare allora stabile, giacché si segue il suo punto di vista, mentre chi sta a casa, sulla Terra, invecchia molto, troppo rapidamente. Affetti che spariscono, figli che crescono, grandi cambiamenti che sono perduti a causa del tempo, in ogni senso. E poi ecco Hans Zimmer con la sua colonna sonora splendida, un insieme di organi che riempono il vuoto cosmico col loro soffio, come quello di un respiro umano, e a sfondo il ticchettio inesorabile a scandire il ritmo, il controllo sfuggente, il tempo più forte di tutto e tutti. Uau!