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03/03/15

Omicidio nel bosco.

Quello che segue è un racconto inizialmente nato durante un esercizio di scrittura, uno di quelli che si fanno al corso del buon Riccardo dal Ferro (Ferruginoso per gli amici), che sto seguendo da un mese a questa parte. Lo scopo dell'esercizio era limitare il senso della vista e provare a raccontare usandone un altro, espediente questo non troppo utilizzato, dato che spesso e volentieri ci si affida proprio (e solo) agli occhi.
Dopo una piccola revisione e alcune modifiche allora ecco il risultato. Ovviamente sta a voi capire quale (o quali) dei cinque sensi ho utilizzato per raccontare.

La bocca gli scoppia di vermi, viscidume strisciante fatto della sua stessa lingua, ora fredda ora devastata, di carne strappata. Urla faccia a terra, morde il terriccio del bosco, che lo bracca girandogli attorno, ovunque e da nessuna parte. Ragni di acido scalano l'esofago, singhiozzano in rovi di rutti spinosi.
È steso da un po'. Il cuore preme incessante sul collo, sgorga ruggine dalle gengive rotte.
Lì accanto nota un sorriso sghembo, nocche vibranti lordate da schegge dei suoi propri denti. Grugnisce qualcosa, sputa, inspira sporco e aghi di abete. Dov'è il suo volto? Dove gli occhi, le unghie, i timpani? C'è solo bocca, bocca ovunque, e fronde di prurito dannato che graffiano l'arido in gola. Strisci come un verme... guardati, gli dice l'uomo.
Una stretta allo stomaco, acido di resina, bava fungosa, sapore di ossa, succhi gastrici, reflussi bollenti, veleni letali. 
L'uomo distoglie lo sguardo, è troppo per qualsiai stomaco. Prende il telefono, È sistemato, fa al suo capo, poi riattacca, lasciando il morto tra gli alberi.

22/02/15

Guidato dai fili

Mi svegliai al rumore del fulmine. Doveva essere caduto in zona. Restai un attimo in silenzio, in compagnia del sonno pesante degli altri e del ticchettio delle gocce sulla tenda. Sgusciai fuori dal sacco a pelo, infilai le scarpe e il k-way, presi la torcia e andai fuori. Un albero, a una ventina di metri da noi, era stato squartato in due dalla scarica. Decisi di vederlo da vicino, spinto da una sensazione.
Avanzai, i piedi sempre più fradici ad ogni passo, guidato dal fascio della torcia e dai flash del temporale che rimbalzavano nella  boscaglia. Raggiunsi il mio albero. Restai a fissarlo col cuore in gola. Davanti all'arbusto, in un cerchio fumante marchiato sul terreno, stava un uomo completamente nudo, e mi osservava. Quell'uomo ero io.
Lo raggiunsi e mi tolsi il k-way e il maglione per coprirlo dal gelo.
"Ha funzionato." disse impassibile.
"Che cosa ha funzionato?" chiesi aiutandolo a ripararsi.
"Il viaggio nel tempo. Dovresti saperlo. Oggi è il  3 marzo 2032, e io sono te, proveniente dal futuro."
Restai senza parole. I miei attuali studi sul viaggio nel tempo avrebbero quindi trovato un senso? La risposta era ovviamente davanti ai miei occhi. Avrei viaggiato nel tempo e mi sarei ritrovato, incredibilmente, proprio qui e ora.
"E tu, quindi... da quando vieni? Dio, non posso crederci. Allora ce la farò davvero!"
Il me del futuro mi guardò tristemente. "Ce la farai, certo. Io provengo dal 4 febbraio 2056. Come noterai, sono un po' più vecchio di te." rispose stringendosi nei vestiti.
"Non di molto però." replicai euforico, notando solo ora gli anni in più sulla sua pelle.
"Il punto è, che non abbiamo inventato il viaggio nel tempo. Non solo quello, almeno."
"Che intendi?"
"Ebbene... mi sento come, costretto. Io credo abbiamo inventato il destino, credo ne abbiamo involontariamente scoperto l'essenza. Questo momento io, l'ho già vissuto anni fa, ma nella tua pelle. Un me dal futuro, proprio oggi, era qui giunto, dove sto io ora, e mi disse le medesime e precise parole che sto pronunciando. Non solo, io stesso a quel tempo agivo esattamente come tu stai ora facendo. È più forte di me e di te, il tempo incede identicamente ad allora, io ripeto azioni già viste, pronuncio frasi già parlate, e tu consumi una vita più e più volte vissuta, da qui al 4 febbraio 2056, forse oltre, intrappolato nelle regole del tempo per non mandare l'universo in frantumi. Non potrai farne a meno."
"Regole... l'avevo teorizzato."
"Lo so. Fortunatamente, d'ora in poi, per quel che mi riguarda, mi sembrerà d'esser libero. Buona fortuna."
Detto ciò, il me del futuro si allontanò nel buio del bosco, e io me ne tornai alla mia tenda, comandato dai fili del tempo, ragionando sul tempo.

03/02/15

Scrittura collettiva! Pronti? Partenza, via...

Buongiorno cervelli. Come vi anticipavo martedì scorso oggi iniziamo a giocare scrivendo un racconto unico tutti insieme. Prima di lasciarvi all'incipit, da cui voi poi partirete evolvendo (o stravolgendo) la storia, vi do qualche regola da tenere presente, giusto per non creare confusione.

  • Può partecipare chiunque con massimo due interventi, chiaramente non consecutivi, sennò che gusto c'è?
  • Si continua la storia agganciandosi all'ultimo commento postato (maddai!?), e non ci sono limiti di genere: sbizzarritevi.
  • Se postate il continuo di un pezzo e un minuto dopo qualcuno scrive lo stesso seguito, vince il pezzo pubblicato prima (guarderò l'orario). Chi pubblica per secondo dovrà cancellare e riscrivere, mi spiace.
  • Il vostro pezzo non deve superare le 5/6 righe. Nel caso ci siano dialoghi facciamo che potete arrivare anche a 10, dai, insomma non sto a rompervi la palle ma non dilungatevi troppo.
  • Per aggiungere il contributo al racconto iniziate il commento con la scritta RACCONTO.
  • Se volete semplicemente commentare, senza giocare per forza quindi, potete farlo liberamente.
  • Domenica è l'ultimo giorno possibile per poter scrivere, dopodiché stop ai giochi. Il finale, ovviamente, lo aggiungerò io, quindi non perdetevelo, che martedì prossimo, il 10, pubblicherò qui il vostro operato tutto d'un pezzo.
  • Una condivisione sui social, anche nel caso non voleste scrivere e giocare, è sempre benvenuta e di grande aiuto.

E ora, iniziamo sì o no?

''Papàààààà. Paaaapiiiii. Vieniiii?''
''Aspetta due minuti amore, finisco un attimo qui.'' risponde dalla cucina.
''Ma il tè si raffredda! Papiiiiiii, papiiiiii...''
Sua madre entra in camera. ''E allora? Hai finito di fare casino? Papà sta cercando di sistemare il frigo e io devo finire i miei disegni. Viene a giocare dopo!''
''Ma il tè si raffredda.'' sbuffa Camilla alzando la teiera giocattolo.
''Ho detto dopo. E ora gioca un po' in silenzio!''
''Ma uffaaaa!'' grida la bambina sbattendo ripetutamente la teiera per terra. ''E' tre ore che aspetto uffaaaaa!''
Sua madre non ne può più, le da uno schiaffo, poi cerca di levarle la teiera dalle mani. 
''No, no è mia è mia, mamma no.'' piagnucola Camilla tenendola stretta.
''Mollala! Guarda che ti tolgo la televisione sai? Mollalaaa!''
E' una guerra tra madre stressata e figlia incavolata, due gocce d'acqua tanto nell'aspetto quanto nell'atteggiamento. 
''Che cavolo combinate?'' domanda il povero Cristo dalla cucina, costretto ogni giorno ai battibecchi tra le due.
''Basta!'' urla infine Camilla, mollando la teiera e arrendendosi a sua madre. ''Ti odio, vorrei che sparissi!'' 
Qualche minuto dopo Enrico raggiunge la sua piccola in camera, che versa in tutta tranquillità del tè caldo nelle tazzine di plastica. 
''Tieni papi, questo è il tuo tè. E' bollente, appena fatto.'' dice tutta felice porgendogliene una.
''Oh grazie tesoro. Hai fatto pace con la mamma, sì? A proposito, dov'è andata?''
La bambina finisce di versare, appoggia con cura la teiera sul tavolino, ed esclama in un sorriso grande grande: ''Non lo so, adesso però beviamo questo buonissimo tè, dai.''

A voi continuare... 

01/02/15

Dove si va poi.

Vola tra i tetti e i fili di fumo che escono dai comignoli. C'è un cielo d'inverno che va verso sera, di poche nuvole e qualche rumore: le campane della chiesa, il traffico cittadino, il fruscio degli alberi sorpresi dal vento. E' proprio quel soffio che lo sta cullando, gelido ma tanto leggero da abbandonarcisi volentieri, e svolta qua e là, tra i rami del parco, oltre i cancelli, per le strade grigie illuminate dai lampioni. Dove lo porterà, quel vento quieto, non gli è dato saperlo, ciò nonostante si fa guidare senza alcun timore, fuori da Kensington, all'imbrunire di mercoledì.
Un uomo là sotto attira la sua attenzione. E' avvolto in un grosso cappotto scuro e cammina goffamente, appoggiandosi a un bastone. Il suo incespicare, quando una pozzanghera incontra i suoi passi, gli fa molto ridere, da fargli lacrimare gli occhi e persino perderci il fiato. E allora lui gli passa vicino, dimenticando la corrente per un attimo, per godersi meglio il suo uomo nel cappotto. Gira due volte poco sopra il cappello, fa una capriola, una piroetta, e poi lo afferra, portandoselo appresso. L'uomo esclama qualcosa vedendolo andare a zonzo per proprio conto, e incomincia a correre, bastone dritto in alto, nel tentativo di agguantarlo. 
Gioca, si diverte un mondo, ma infine, vedendolo affaticato, perde il piacere. Inverte la rotta e gli poggia il cappello direttamente in testa, volando verso il soffio freddo.
Ecco, una finestra appena illuminata, è lì che il vento porta. E' al primo piano ed è molto accogliente: vetri puliti, tende rosse come rubini, e un vaso di fiori del colore del cielo. Scrutandovi attraverso nota un vecchio steso a letto. E' un signore striminzito, pieno di rughe e avvolto in coperte lana, una mano stretta tra quelle giovani  di una ragazza. Il vento apre un poco la finestra, invitandolo a entrare. 
La ragazza ora piange, singhiozzando in silenzio sul suo vecchietto immobile. La sta osservando ed è in quel momento che qualcuno lo strattona, tirandogli i calzoni. Si volta, trova un bambino impaurito. Avrà si e no la sua età, qualche centimetro in meno d'altezza, e guarda il vecchio e la ragazza con aria sconvolta. Il piccolo si avvicina alla ragazza, gli occhi gonfi di lacrime, e con la manina paffuta prova ad accarezzarle i capelli, ma non ce la fa, qualcosa glielo impedisce. Il vento soffia da un altra parte.
Peter prende quella mano persa nel vuoto, accoglie il bambino sperduto, lontano dallo spettro di quel che era, dalla sua vecchiaia. Insieme volano via, fuori dalla finestra, portati dal vento verso i giardini di Kensington. Guarderanno dall'alto lo specchio d'acqua del lago, e leggeri come rondini vi passeranno attraverso.

02/01/15

Potrei scrivere di questo.

C'è il caminetto acceso, due tipi improvvisano con le chitarre. Chiara, di fronte a me, si stringe nel maglione fissando Gimmi che suona, Matteo, invece, si passa un preservativo tra le mani. Giulia è persa a guardare le fiamme. Gioco coi suoi capelli. Ha gli occhi scuri, sembrano i miei, il fuoco ci si riflette dentro. La rossa che le sta di fronte, intanto, è un tutt'uno con quel caldo.
Finiscono di suonare.
''Dai, bella questa! No?'' fa Gimmi appoggiando a terra la chitarra.
''Certo, sì...'' risponde Chiara. 
''Ahh è la cosa migliore che abbiamo suonato fin'ora e non apprezzate un cazzo.''
Anche l'altro posa lo strumento. ''Io vado su.'' dice, prendendo il vino e scomparendo per le scale. La musica riparte.
''No a me piaceva sul serio comunque...'' riprende Chiara, coi riflessi delle fiamme sulle scarpe nere.
''Oh, chi è che vuole un preservativo?'' fa Matteo lanciandone uno.
''Tanto a te non serve, no?'' risponde Giulia sarcastica, mentre le intreccio a caso i capelli.
''Ahah, simpatica.''
''Non c'è di che.''
Potrei scriverci su qualcosa di sta roba, penso tra me, e l'altro suona ancora, e Chiara pare incantata a sentirlo mentre bevo un sorso e riprendo coi capelli dell'altra.
''Sì, tanto qua non va mai come dovrebbe.'' ricomincia Matteo.
''Cioè?''
''Cioè il buono perde, Dio c*n!''
Il chitarrista ride, Giulia e la rossa pure, io anche. Chiara invece è persa nelle note, pare sciogliersi. Potrei scrivere qualcosa di questo, penso. Ma cosa?... non mi viene in mente nulla, zero. Bevo un altro sorso, Matteo mi tira il preservativo addosso. Quanti cazzo ne ha? Decido di fissare la rossa. Non sono bravo al gioco di fissare la gente e restare serio, ma stranamente ora mi riesce. Mi guarda, ride, distoglie lo sguardo, mi guarda di nuovo, come a dire che cazzo hai da guardare? e poi sorride e prende fuoco. Davvero, letteralmente: le prendono fuoco i capelli, ma lei non fa una piega.
Che cazzo di roba è? Le note vanno più rapide, mi rompo di giocare col ciuffo di capelli e metto la mano dietro al collo bollente di Giulia. La rossa mi guarda e si rigira, frustando l'aria di scintille. La musica sale ancora ed ecco svelato tutto l'interesse di Chiara per il chitarrista: si sta sciogliendo, per lui. Parte dalle scarpe nere e lucide, che gocciolano formando una pozzanghera nera petrolio a terra. Poi gocciolano via anche le calze, le unghie dei piedi, la pelle, le gambe, pian piano, a tempo con la musica. Ma tu guarda che cosa strana, un'altra! Potrei scrivere di questo? 
Smetto di giocare col collo. Mi stravacco sulla sedia per quanto possibile e Matteo mi allunga la bottiglia. 
''Guarda come si scioglie.'' dico a Giulia prima di buttar giù il vino.
''Eh?'' 
''Guarda Chiara come si sta sciogliendo guardando Gimmi. E' proprio persa, non vedi?''
''Naa, cosa dici?'' fa tornando a fissare il fuoco. 
Che tipa strana, che razza di tipa strana. Forse potrei scrivere di lei? No, la donna che si scioglie vicino a quella che va a fuoco è più divertente. Ed è quasi alle ginocchia ormai, e sotto di lei si spande un lago scuro come la pece, con le striature di rosa pallido della pelle, il sangue cremisi e il bianco delle ossa. Non ho idea di come possa andare a finire, tra un po' non dovrebbe nemmeno più riuscire a stare seduta.
Matteo si alza e se ne va: ''Vado su anch'io, ciao.''
Gimmi suona, Giulia si sposta nella sedia, la rossa è un incendio e io guardo Chiara nel suo punto più interessante: le cosce. Sono lì per metà sì e per metà no, ma non è una cosa macabra da vedere, qualcosa che fa senso o schifo o vomito. E' un fenomeno con una sua certa eleganza, con forme dolci che vanno via via assottigliandosi, sempre di più, cadendo verso il pavimento in rivoli fini, come la cera bollente. Le gambe sono quasi finite, barcolla, si dondola infastidita sulla sedia. E ora che succederà? Potrei scrivere di questo, diavolo se potrei! Ma devo vedere che succede quando si scioglie tutta la parte sotto. Ancora pochi secondi, poche gocce...
''Oddio oddio oddio basta, devo andare.'' fa la ragazza mezza sciolta alzandosi, distogliendo finalmente lo sguardo da Gimmi e la sua chitarra. ''Devo fare la pipì, me la sto facendo sotto!'' e detto questo, si fa strada passandomi di fianco, e se ne va.
La pipì. Si stava facendo la pipì addosso. Come ho fatto a non pensarci prima? Bella mossa Chiara, questa sì che potrei scriverla! Però ora mi manca un finale e Gimmi non suona più.
''Ou Gimmi.'' gli faccio mentre Giulia e la ragazza in fiamme si dicono qualcosa. ''Ma, come potrei finirla secondo te tutta questa storia?''
''Non lo so.'' fa lui senza un'espressione precisa in volto, senza chiedermi Quale storia?, massaggiandosi il pizzetto. ''Di' qualcosa di conclusivo!''. Poi si alza, pesta per sbaglio la pozzanghera di ragazza sciolta, e va a prendere le sigarette. Credo di sì, potrei proprio scrivere di questo.

30/10/14

Anna.

La scorsa notte mi ha fatto visita Anna, ed era tanto, tantissimo tempo che non le parlavo. Un incontro spiacevole, che avrei voluto evitare, e di cui ti racconterò a breve. E' infatti il caso di soffermarci prima sull'insolita circostanza in cui le nostre strade si sono incrociate, il che ci fa tornare indietro di un bel po' d'anni, a quando ne avevo undici, e passavo i primi pomeriggi autunnali a esplorare i boschi del Montecio col mio amico Fabio.
Immagina allora una cittadina del nord Italia di modeste dimensioni, e una collina anch'essa modesta, che sorge nel bel mezzo di questa: il Montecio. La gente trova riparo dalla calura estiva sotto le fronde dei suoi alberi, si tiene in forma correndo i quasi due chilometri di circonferenza che le regala, e ancora, porta a passeggio i cani, fa due chiacchiere con gli amici, si racconta del tempo che fa e di quello che passa. Immagina ora due bambini che della collina adorano i suoi sentieri, tracciati tra i pungitopo e immersi nella vegetazione. Due che in quel bosco, un giorno, scoprono la presenza di alcune grotte, sparse qua e là, e che le esplorano armati di torce, curiosi di vedere dove vadano a finire e cosa ci sia dentro, nascosto in mezzo al buio. Immagina infine che i due marmocchi, passata qualche settimana e ormai disincantati da quegli anfratti prima misteriosi, trovino l'ingresso di un'ultima, strana, caverna.

''E' troppo bassa, dovremmo strisciare per entrarci. Dici che poi si alza dentro?''
''E che ne so, non abbiamo neanche le torce.''
''Beh, andiamo più vicino allora, magari si vede qualcosa dentro.''
Avanziamo facendoci largo tra gli arbusti. Ci abbassiamo guardando di sbieco l'interno della grotta. 
''Boh io non vedo niente.'' dice Fabio.
''Già... andiamo a prendere le pile?'' rispondo, aguzzando la vista. ''Un po' di luce in realtà c'è là in fondo, vedi?''
''Dove?''
''Là.'' dico entrando un po' con la testa. ''Verso destra c'è un po' di luce, e c'è... c'è come un... una... cazzo c'è una faccia!''
Mi tiro indietro, esco da quel buco nero.
''Come una faccia?'' chiede Fabio stupito.
''Sì sì ti giuro sembra una bambina guardala guardala, sembra la faccia di una bambina!''
Inizialmente titubanti decidiamo poi di correre a casa e prendere le torce. Dobbiamo sapere, dobbiamo vedere. Mezz'ora dopo abbandoniamo le bici nel prato di fronte la scuola elementare per poi risalire un sentiero della collina, tornando all'imboccatura della grotta. 
''Fai luce'' dice Fabio, squarciando l'oscurità con la sua. ''Mmm... io non vedo nessuna bambina, sai?'' fa ironico.
''Ti giuro che era lì, l'ho vista.'' rispondo cercando verso il fondo. 
''Entriamo?''
''Entriamo.''
La parete è abbastanza larga ma il soffitto molto basso, tanto da restare accucciati per i primi metri. Più avanziamo più è buio e freddo, l'uscita dietro di noi si fa sempre più lontana. Ci guardiamo intorno, scrutando le pareti umide, alzandoci poi in piedi quando finalmente lo spazio sopra le teste ci permette di non sbatterle. 
''Oh!'' urla Fabio guardandomi e indicando qualcosa sopra di me.
Mi giro e noto una foglia marrone scuro penzolare dall'alto, anzi un ramo, anzi un... ''Un pipistrello...'' sussurro togliendomi in fretta da lì con la pelle d'oca.
Incerti, non sappiamo se continuare o meno. E se ce ne sono altri di quei cosi? E se si svegliano e cominciano a volare? Un rumore ci distoglie da quei pensieri. Qualcosa che viene da più avanti, qualcosa che non riusciamo a vedere, qualcosa che quel giorno, ci traumatizzò tanto da farci dimenticare tutto in un istante, come fosse stato solo un brutto sogno: Anna.

12/08/14

Un giorno in più.

Si passano di mano in mano lo spinello, chi beve, chi suona la chitarra e canta, illuminati dalle fiamme del falò. E' una bella serata, la loro ultima lì in vacanza, limpida e calda, e il mare li accompagna col lieve rumore delle onde.
Lui la guarda dall'altro lato del fuoco, i capelli ancora bagnati sono raccolti lasciandole scoperto il collo. Lei lo vede, sorride. 
E allora andiamo, si convince.
Si alza e le va incontro, qualcuno lo osserva incuriosito, qualcuno vomita in disparte sostenuto da qualcun altro, ridono e altri continuano a cantare, un paio limonano duro. La prende per mano e la porta via, lontano da tutti gli altri.
''Dove andiamo?'' chiede lei, arrostendo ancora un po' il cuore di quel povero pollo già cotto da una settimana.
''Ti devo mostrare una cosa'' risponde, andando verso il pontile. Lo percorrono tutto e si siedono sul bordo, guardano il mare. Finisce la sigaretta e tira fuori l'mp3, si mette una cuffia, una è per lei.
''Tutti soli a vedere le stelle cadenti? Ma sarai mica un romanticone?'' domanda in un tono abbastanza versione presa per il culo, facendolo saltare punzecchiandogli il fianco.
''Niente anuanuei alla Dawson's Creek, e stai buona su!'' dice prendendole la mano. ''Adesso guarda lì'' fa indicando il cielo ''e stai mooolto rilassata.'' aggiunge sorridendo.
Quattro scie rimbalzano da una parte all'altra rischiarando le poche nuvole che ci restano pure male, a venir disturbate in quel modo. Fanno una faccia tutta arrabbiata che lo diverte. Si tuffano in acqua a un metro da loro, affondano, e tre enormi tonni, brutti non come i soliti tonni ma invece piuttosto simpatici e ammiccanti suonano basso, chitarra e batteria. Una sirena canta.
Lei li squadra sconvolta, poi guarda lui, sconvolta. Sta per dire qualcosa ma il ragazzo la ferma facendo segno di silenzio col dito, ridendo.

27/06/14

Un sorso di vita, il mio racconto finito su un libro.

Il 3 febbraio, un giorno prima del mio compleanno, ho provato a partecipare a un concorso di scrittura su consiglio del mio vicino di casa Riccardo Sartori. Inviato il lavoro il mio racconto breve è stato scelto in un baleno per essere inserito nell'antaologia 365 Racconti d'estate, che raccoglie appunto 365 racconti brevi, uno per ogni giorno dell'anno, e tutti con l'estate come tema comune. Praticamente mi sono fatto un auto regalo di compleanno più che gradito!
La cosa bella è che quest'antologia la potete trovare in libreria, e questo mi gasa abbastanza, e insomma io oggi vi piazzo qui il mio racconto ''Un sorso di vita'' così lo potete leggere pure voi. Oltre al mio comunque, altri due amici blogger sono riusciti a farsi inserire in questo libro, e sono il sopracitato Riccardo Sartori e il prezzemolino Miki Moz.

E nulla, se vi piace, fatemelo sapere. Se non vi piace, uguale. Ma sappiate una cosa: ora, nel secondo caso, potete pure dargli fuoco nel vero senso della parola. Non è stupendo? :)

Se non ci vedete, cliccate che diventa più grande... credo.

P.s non si deve dare fuoco ai libri, stavo a scherzavo.