07/11/23

Qui e ora

Il Caffè si affacciava su uno dei tanti canali investiti dai turisti. Era da poco iniziato novembre e, anche se il weekend si avvicinava, il via vai di gente, a quell'ora del pomeriggio, sembrava tranquillo. 
Stefano, seduto a un tavolino, osservava là fuori i colori riflessi sulla superficie dell'acqua: gli scafi delle imbarcazioni color nero, verde e azzurro pastello, i rossi accesi e gli ori luminosi delle foglie degli alberi, le facciate così particolari degli edifici, che lo guardavano dalla sponda opposta. 
D'istinto prese il telefono per immortalare il momento. Lo avrebbe condiviso su una storia Instagram. Era anche meglio della foto del locale di poco prima. Forse ci sarebbe stata bene anche una frase d'accompagnamento, ma poi pensò No, non ne vale la pena. La scena si presentava tanto equilibrata e pulita che aggiungerci una scritta avrebbe rovinato l'incanto. Aveva appena deciso come ridimensionare e posizionare il tag di Amsterdam, ovvero appena sopra il ponte, che senza darsi una spiegazione ci si ritrovò sopra. 
Non capiva.
Mise il telefono nella tasca del giubbotto, che stranamente indossava, e fissò in lontananza la vetrina dietro la quale, fino a pochi istanti prima, stava bevendo il suo té. Ma com'è possibile? Pensò a un effetto collaterale dei funghi che aveva mangiato due giorni prima. Era l'unica spiegazione logica per un evento percettivo così singolare.
Ero lì un secondo fa e ora sono qui fuori. Non ho finito il té, non mi sono alzato, pagato nemmeno e uscito proprio no. 
Si toccò la testa esclamando Oh merda... poi, preoccupato, ragionò sull'eventualità di parlarne con un amico. Anche Hans li ha presi, avrà buchi di memoria come questo?
Si incamminò perciò verso la sponda su cui stava il Caffè di prima ma, Di nuovo?! eccolo al centro esatto del ponte. Un passante gli diede una spallata per sbaglio. Lo avrebbe volentieri fermato e preso a pugni tanto era il nervoso. Si appoggiò quindi al parapetto. Respira. Le mani sbiancate da quanto stringeva la ringhiera.
Stavolta, esclamò tra sé, mi sono fuso il cervello! 
Si sentiva il cuore in gola, col rimbombo che gli faceva vibrare la testa. Si ripeté Respira, calma, concentrandosi sul turbinio delle foglie autunnali, che volteggiavano lì intorno.
Senza esplicitarlo a parole, per paura di auto sabotarsi in qualche modo che non capiva, decise di ritentare la fuga, fingendo la più assoluta nonchalance. Non c'era nulla di strano in quella situazione. Era una normale passeggiata in un freddo e soleggiato pomeriggio autunnale. Stava semplicemente andando verso il suo Caffè preferito. Ancora pochi passi e avrebbe salutato la barista, che trovava anche carina. Un passo dopo l'altro, confondendosi tra i passanti, uno tra tanti, in una giornata normale mentre lui era praticamente arrivato, soltanto un altro passo e No! No! No! 
Prese il telefono, folle di paura, e chiamò Hans. Uno. Due. Tre. Quattro squilli. Questo idiota non risponde! Corse giù dal ponte, verso l'altro lato, e fu di nuovo al centro. Solita spallata del passante. Stesse persone tutt'attorno. Chiamò ancora ma senza risultati. Preso dal panico non gli veniva in mente nessuno da contattare per spiegargli la situazione. Come potrei spiegarlo? E se chiedessi aiuto a qualcuno qui? Impossibile! Guardò l'orario sullo schermo dello smartphone. 16:03. Ritentò con Hans, per la terza volta. Il via vai di gente, ignorando la sua personale crisi, procedeva nell'indifferenza. Chiuse la chiamata. Le 16:05. Poi Eccolo lì! esclamò intravvedendo l'uomo della spallata. Passeggiava lungo il canale. Si era fermato per un momento a osservare una vetrina. Stefano allora fuggì dal ponte di corsa provando a raggiungerlo. Era qualcosa di tangibile e di vivo che si era sganciato da quella situazione, Forse è lui la chiave! e, appena sfiorata la superficie del marciapiede era sempre lì, al centro, dove si prese la solita spallata. Il passante, lì con lui, incastrato nel loop, si comportava esattamente allo stesso modo, badando agli affari suoi, andandosene oltre il ponte e poi alla vetrina. L'orologio segnava le 16:03.
Non può essere vero, pensò. Quando scendo riparte tutto daccapo. Tutto daccapo per tutti! 
Era una follia. Non aveva senso. La mia testa, che ho fatto, che ho fatto?! mugugnava ora, accasciandosi disperato. Usava il telefono per colpirsi la fronte, come si prendesse a martellate. Magari mi sveglio, pensava una parte di lui, ma non molto convinta. Poi un'idea, se pur lieve...
Cercò tra i contatti Psico Silvia, la psicologa che lo seguiva e da cui, un mese prima, era scappato.
Pronto? Stefano?
Ssì... sì, sì! Sono io! Mi senti?
Ti sento. Stai bene? Non sei più passato dall'ul...
No, scusami, ma mi sta succedendo qualcosa. Non capisco più niente. Sono in panico. Mi sa che sto avendo un attacco di panico, io non lo so, non capisco se è un sogno o tutto vero o uno scherzo, disse terrorizzato.
Ti aiuto io, ma prova a calmarti un momento. Sono qui con te, ok? rispose piano la psicologa. Guarda, continuò lei, metto da parte i miei impegni e sono proprio qui. Ok? Ci sono. Ok?
Rincuorato, anche se di poco, rispose Ok, ok, ok. Grazie sì. Ok. 
Ora però spiegami con calma. Aiutami a capire, riprese la psicologa.
Allora sì, stavo bevendo un té e mi sono trovato fuori, su un ponte, e non ricordo come ci sono arrivato. 
Un ponte dove? Sei in un posto pericoloso? Sei solo? chiese preoccupata.
No, quale solo? Un ponte qui, sul canale. C'è un sacco di gente. Nel senso: non è roba di buttarsi giù e ammazzarsi. Io voglio solo stare normale. Ma non riesco a uscire dal ponte. Non riesco a scendere. C'è gente che passa ma sempre la stessa. Se scendo dal ponte mi ritrovo sul ponte. In mezzo al ponte. Non ha senso! Un loop. In trappola sul ponte. Ha senso? Mi capisci?
Ci fu un momento di silenzio. 
Ehi? Ehi?!
Ci sono Stefano. Sono qui. Stavo pensando un attimo, scusami.
Ok. Ma non te ne andare. Ti prego.
In velocità, preoccupato, staccò il telefono dall'orecchio e osservò l'orario. Erano le 16:09.
Non me ne vado, tranquillo. Ma senti. Se ho capito bene, ti sembra di ripetere lo stesso momento, vero?
Sì, esatto!
E quando provi a uscire da questo... momento, tutto torna daccapo? Giusto?
Sì! La gente, le persone, sempre le stesse. E anche l'orario! L'orario torna... ma Stefano si zittì, consapevole che quella era davvero una follia, un qualcosa di davvero difficile da credere e quindi da pronunciare. Una vera e propria frase da pazzi. Pazzi veri!
Volevi dire che torna indietro? L'orologio torna sempre alla stessa ora, no?
Sono pazzo? Che vuol dire? piagnucolò lui, improvvisamente molto, molto stanco.
Dimmi questo: che stavi facendo prima che iniziasse?
Niente! Non mi stavo drogando, se è questo. Cioè ho preso dei funghi due giorni fa. Ma due giorni fa! E niente di strano. Li avevo già provati. Non capisco.
Non penso siano il problema. Ma intendevo: che stavi facendo nella pratica. 
Nella pratica. Nella pratica ero in un bar. Stavo bevendo un té, un té normale, e niente. Guardavo fuori!
Mmm...
Che c'è? Che vuol dire?
Guardavi fuori e basta?
Stefano non capiva. Sì, gli pareva di aver guardato fuori e basta. Che altro? Ma poi gli venne in mente una cosa. Una sciocchezza. Stavo, forse, facendo una foto.
Ah! esclamò lei, come avesse notato qualcosa.
Anzi, stavo per mettere una storia su Instagram...
E perché?
Che vuol dire? Perché sì. 
Sì, ma ricordi cosa dicevamo? Di quel tuo problemino con gli altri, le aspettative... la propria immagine?
Stefano ricordava. Era uno dei vari argomenti che avevano affrontato. Lui si faceva sopraffare dagli altri. O meglio: dai pensieri che lui credeva che gli altri avessero su di lui. E perciò, in molte occasioni, si comportava in un certo modo solo per non tradire queste aspettative. Aspettative, tra l'altro, del tutto immaginarie. Aveva, negli ultimi anni, fatto scelte di vita che non gli corrispondevano.
Mi ricordo. 
E cosa volevi? Eri in uno di quei non-momenti?
Li aveva chiamati proprio così. I non-momenti. Attimi più o meno lunghi che non viveva più in funzione di sé, ma di una condivisione con altri. 
Credo di sì, ammise.
Credi o sai?
Lo so. Lo so.
Ora scendi dal ponte. Forza, lo intimò lei.
Ma non ci riesco. Non serve a niente. E se ci provo la telefonata salta e ti perdo.
Non mi perderai. Te lo prometto. Ma tu, Stefano, devi renderti conto di questa cosa: non puoi vivere con la mente da un'altra parte e per altre persone. Qui e ora è quel che hai. E ce l'hai per nessun altro che te. Solo per te. Se tu tieni a mente questa consapevolezza, e te l'ho detto tante volte, inizierai sul serio a riprendere in mano la tua vita. E da qui e ora comincerai anche a riconquistarti il dopo. Il domani. E il dopodomani!
Stefano non rispose. Si sentiva stupido. E stanco. Capiva quel che gli veniva detto, ma non riusciva a metterlo in pratica. Andava avanti da mesi. Macché, da anni! Gli altri, gli altri, gli altri. Erano un ossessione. Lui, per sé stesso, non ce la faceva ad andare avanti. Non riusciva a bastarsi. A sentirsi sicuro. Intelligente. Forte. Da solo non sapeva cos'era capace di fare, né chi era. 
Non ti servono altre persone. Non ti serve l'approvazione da fuori, Stefano. Hai capito? Non devi per forza cercare di raccontare quello che credi piaccia fuori. Prova a connetterti solo con te. E col tuo presente. Ok? Altrimenti perdi tutto: il passato e pure il futuro. Hai capito?
Ok. Lo so. Ma è difficile. 
Sai perché non mi sono arrabbiata quando hai smesso di venire da me? 
No, ammise lui.
Perché sapevo che, sotto sotto, era una tua scelta personale. Sapevo che qualcosa, di tutto quello che ci siamo detti, stava iniziando a crescere. La tua consapevolezza. La tua indipendenza dagli altri, compresa me. 
Ero pigro, forse. Infastidito.
E va bene! Va anche bene così. Perché eri tu. Al 100%. E hai deciso che quel tempo lo volevi usare per te. Non per me. Per assecondarmi. Ma ora ti chiedo, Stefano, di fidarti non di me, ma di te. Parti da questo momento e per te, vivendolo per te, inizia a costruire un presente che sia più consapevole. Tu hai un valore. Non specchiarti negli altri. Non ti serve l'approvazione da fuori. Ti serve quella da dentro. Liberati da questo circolo vizioso e cammina fiero. 
Ciò detto la chiamata terminò, lasciandolo solo a fissare il canale.
Il cielo ormai era di un'intensità molto scura. Qualche nuvola, riflessa nell'acqua, accendeva di fucsia e arancione le foglie morte che galleggiavano.
Qui e ora, si ripeté, Qui e ora e comincio solo per me.
E così, a mente sgombra, spinto da questa rinnovata intenzione, percorse il ponte e se ne tornò a casa, incamminandosi tra i vicoli autunnali di Amsterdam che, si accorse, sembravano davvero disegnati solo e soltanto per lui.

Vi ricordo che questo racconto, assieme a tutti gli altri, lo potete trovare nella sezione Scrivo Storie del blog!

6 commenti:

  1. Ma che carino questo Ricomincio da capo!! Ne ho scritte di cose simili perché mi piacciono le turbe spazio temporali, i viaggi nel tempo, i loop.. ma difficilmente ci sarà uno/a psicoterapeuta a togliermi le castagne dal fuoco.. ;) scritto bene però, anche sognante e riflettente (in qualche canale di Amsterdam magari, che amo anche io..)

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    1. Sai che non l'ho mai visto? È un film, giusto?
      Ad Amsterdam ci sono stato lo scorso settembre. Avrei voluto usare qualche foto delle mie ma non si adattatava all'autunno. Magari la prossima primavera/estate ci faccio un seguito🦧

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    2. E no ragazzi!! Mai visto Ricomincio da capo?!!? Me hanno fatto millemila copie, qualcuna anche con qualche chiave diversa.. ma l'originale resta un mito!!! Recuperare subito!!! ;)

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    3. Ah è quello del giorno della marmotta. Ok ok lo recupererò ;)

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  2. Meno male che alla fine Stefano ha preso consapevolezza di questo ed è riuscito a percorrere quel ponte, a vedere sé stesso, a guardare quel cielo e quelle persone con uno sguardo nuovo. Ciao e buona serata.
    sinforosa

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    1. Ha cominciato, sì. È già molto, a volte.
      Ciao sinforosa ;)

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