Spesso però, le consideriamo come qualcosa di preciso e puntuale, o peggio... di intoccabile!
Disegno di shichigoro756 che trovate Qui |
Mi pare sia stato un paio d'anni fa. Per puro caso vidi il grande Gigi Proietti recitare una poesia intitolata Il Lonfo. Era formata da una serie di versi con parole che non avevo mai sentito e che a primo impatto, a ragionamento lucido, risultavano incomprensibili. Eppure, facendomi prendere dal ritmo e dalla musicalità, tutto appariva sensato. Visualizzavo questo frusco lonfo senza avere la minima idea di che cosa volessero significare "fusco" e "lonfo".
Che cavolo stava succedendo?!
Che cavolo stava succedendo?!
Succedeva che avevo incontrato la poesia metasemantica di Fosco Maraini, un autore che, come racconta nella prefazione del suo libro-raccolta Gnòsi delle Fànfole, più che scrivere, propone.
Scusa amico Cervello ma che vuol dire sta cosa?
Beh... praticamente il suo approccio alla scrittura è pensato per offrire al lettore un trampolino di lancio verso la propria immaginazione, così che costruisca egli stesso il significato (o i vari) della storia.
Ma aspettate, fermi tutti! Facciamo che vi ci butto dentro direttamente (anche Qui col video se vi va) così lo capite meglio da voi:
Racconta Maraini che quando s'inventano nuove parole, di solito il procedimento parte dalle "cose" ricercando soltanto poi i suoni che ne daranno forma e corpo. Ciò che lui compie invece è l'esatto contrario. Proponi dei suoni ed attendi che il tuo patrimonio d'esperienze interiori [...] dia loro significati, valori emotivi, profondità e bellezza. Perché nel linguaggio metasemantico le parole non infilano le cose come frecce, ma le sfiorano come piume.
Forte della sua variegata conoscenza di lingue straniere intuisce quindi il valore della parola prima di tutto come materiale da costruzione, come oggetto scomponibile e ricombinabile. Al pari di un pittore che mescola i colori per trovare nuove sfumature dunque, o di un musicista che gioca con toni e timbri per suonare nuove melodie, lui trasforma il primo elemento che uno scrittore ha sotto mano.
Ne esce, come riporto nel titolo, un giocattolo o un fuoco d'artificio. Ancora migliore è forse l'immagine che ci fornisce facendo il paragone con una caramella, che ti rigiri a lungo tra lingua e palato estraendone fiumi di sapori e delizie.
Non so voi, ma già soltanto con la lettura che vi ho riportato là sopra, al tempo rimasi sconvolto. Un'intero testo di parole mai incontrate che riusciva comunque a farmi vedere tutto e anche di più, superando perfettamente il timore che Maraini aveva domandandosi se la sua lingua non fosse per caso troppo inusuale da rendersi inaccessibile.
Tutta questa storia comunque, e questo ci tengo davvero molto a dirvelo, non ve l'avrei mai raccontata se circa un mese fa non avessi incontrato un certo Roberto Mercadini. Dopo una camminata bella stronza per le 52 gallerie del Pasubio capitavo in un rifugio in cui teneva un suo piccolo spettacolo. E nel bel mezzo del recitare ecco che mi riporta la storia pazzesca dell'autore de Il lonfo. E poi... e poi gnacche alla formica!
Scusa amico Cervello ma che vuol dire sta cosa?
Beh... praticamente il suo approccio alla scrittura è pensato per offrire al lettore un trampolino di lancio verso la propria immaginazione, così che costruisca egli stesso il significato (o i vari) della storia.
Ma aspettate, fermi tutti! Facciamo che vi ci butto dentro direttamente (anche Qui col video se vi va) così lo capite meglio da voi:
Il lonfo non vaterca né gluisce
e molto raramente barigatta,
ma quando soffia il bego a bisce bisce
dilenca un poco, e gnagio s'archipatta.
È frusco il lonfo! È pieno di lupigna
arrefferia malversa e sofolenta!
Se cionfi ti sbiduglia e t'arrupigna
se lugri ti botalla e ti criventa.
Eppure il vecchio lonfo ammargelluto
che bete e zugghia e fonca nei trombazzi
fa lègica busìa, fa gisbuto;
e quasi quasi in segno di sberdazzi
gli affarferesti un gniffo. Ma lui zuto
t'alloppa, ti sbernecchia; e tu l'accazzi.
Racconta Maraini che quando s'inventano nuove parole, di solito il procedimento parte dalle "cose" ricercando soltanto poi i suoni che ne daranno forma e corpo. Ciò che lui compie invece è l'esatto contrario. Proponi dei suoni ed attendi che il tuo patrimonio d'esperienze interiori [...] dia loro significati, valori emotivi, profondità e bellezza. Perché nel linguaggio metasemantico le parole non infilano le cose come frecce, ma le sfiorano come piume.
Forte della sua variegata conoscenza di lingue straniere intuisce quindi il valore della parola prima di tutto come materiale da costruzione, come oggetto scomponibile e ricombinabile. Al pari di un pittore che mescola i colori per trovare nuove sfumature dunque, o di un musicista che gioca con toni e timbri per suonare nuove melodie, lui trasforma il primo elemento che uno scrittore ha sotto mano.
Ne esce, come riporto nel titolo, un giocattolo o un fuoco d'artificio. Ancora migliore è forse l'immagine che ci fornisce facendo il paragone con una caramella, che ti rigiri a lungo tra lingua e palato estraendone fiumi di sapori e delizie.
Non so voi, ma già soltanto con la lettura che vi ho riportato là sopra, al tempo rimasi sconvolto. Un'intero testo di parole mai incontrate che riusciva comunque a farmi vedere tutto e anche di più, superando perfettamente il timore che Maraini aveva domandandosi se la sua lingua non fosse per caso troppo inusuale da rendersi inaccessibile.
Tutta questa storia comunque, e questo ci tengo davvero molto a dirvelo, non ve l'avrei mai raccontata se circa un mese fa non avessi incontrato un certo Roberto Mercadini. Dopo una camminata bella stronza per le 52 gallerie del Pasubio capitavo in un rifugio in cui teneva un suo piccolo spettacolo. E nel bel mezzo del recitare ecco che mi riporta la storia pazzesca dell'autore de Il lonfo. E poi... e poi gnacche alla formica!
Io t'amo o pia cicala e un trillargento
ci spàffera nel cuor la tua canzona.
Canta cicala frìnfera nel vento:
E gnacche alla formica ammucchiarona!
Che vuole la formica con quell'umbe
da mòghera burbiosa? È vero, arzìa
per tutto il giorno, e tràmiga e cucumbe
col capo chino in mogna micrargìa.
Verrà l'inverno sì, verrà il mordese
verranno tante gosce aggramerine,
ma intanto il sole schìcchera giglese
e sgnèllida tra cròndale velvine.
Canta cicala, càntera in manfrore,
il mezzogiorno zàmpiga e leona.
Canta cicala in zìlleri d'amore:
E gnacche alla formica ammucchiarona!
[Fosco Maraini, E gnacche alla formica...]
Nessun commento:
Posta un commento
Vuoi parlarne? Lascia un commento!
Ti piace quel che hai letto? Condividi sui social!
Non ti piace? Fa' come sopra! ;)