13/12/16

La storia di un pesce grande

Ci sono due modi di vedere quel che ci accade. 
In uno potremmo immaginare di metterci una telecamera sopra la testa, così da osservare la nostra vita come fossimo i protagonisti di un film. Certo uno di quelli coi piedi ben piantati per terra, pieno zeppo di tempi morti, piuttosto noioso e con pochi dialoghi. 
Nell'altro invece, il punto di vista lo si potrebbe ficcare ben dentro al nostro cervello, manovrato dai sensi e dalle emozioni, così che ciò che viviamo diventi una vera e propria storia da raccontarci e raccontare. E qui allora altro che realismo a tutti i costi, altro che fatti tediosi e banalità! Potremmo inserirci per esempio una colonna sonora, degli effetti speciali e lavorare di fantasia per rendere straordinario quel che siamo.

Questa breve riflessione parte da Big Fish, film di Tim Burton dell'ormai lontano 2003, che parla dell'eccezionale vita di Edward Bloom, un uomo che spesso e volentieri narra delle proprie avventure tra peripezie impensabili, imprese eroiche, luoghi misteriosi e personaggi assurdi. Un personaggio che è anche un padre sul punto di morire e che vede un figlio determinato a ogni costo nel voler risolvere la sua storia, per capire cosa effettivamente sia vero e cosa invece sia frutto di invenzione, e quindi finto.

Quel che più mi sorprende di Big Fish, è notare come appaiano diversi il vecchio Edward Bloom, stanco e morente, e il giovane Edward Bloom, quello nella mente e nei racconti, che è invincibile e pieno di vita, che non si ferma mai se non per conquistare la donna che vuole sposare.
È proprio da questo enorme distacco che comprendiamo benissimo la frustrazione di William nel voler conoscere davvero suo padre. Perché a quelle favole lui ci credeva finché era bambino, ma crescendo, e notando che nulla in realtà cambia, s'insinua il dubbio della falsità, cioè la convinzione che lui non sia sincero prima di tutto con la propria famiglia.
Ma sono proprio l'affinità con la frustrazione di William e il fascino per le peripezie di Edward, a portare infine a un'armonia che lega i due estremi. 

Comprendiamo, così come fa lo scettico William, che è del tutto naturale raccontare a noi stessi ciò di cui facciamo esperienza. E perciò scopriamo anche che il mondo là fuori, attraversandoci l'anima, acquista senso e valore tanto per noi quanto per chi, una volta riemerso dal nostro io, ne ascolterà la storia. 
Inutile quindi ridurre tutto a vero o falso, perché non è questo ciò che importa delle nostre avventure, ma piuttosto quel che ci hanno lasciato e ciò che noi intendiamo farne.

Se non l'avete visto, potete trovare Big Fish qui
Se invece l'avete vissuto, raccontatemi com'è andata, che sono curioso!

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