Quella del Gigante di Tandil (o anche Torre di Tandil) è una storia in corso d'opera che merita già ora di essere raccontata. Sto parlando, per i profani, di un certo Juan Martìn del Potro, tennista che ieri sera era impegnato nell'impresa di regalare alla sua Argentina l'oro olimpico.
La sua è una storia fatta di talento, risultati e sacrifici enormi, e pare inserita in un dramma che per forza di cose non può che appassionare. L'happy ending, uno dei tanti (si spera), è già una certezza e pare promettere un nuovo inizio ai vertici del ranking mondiale.
Nel tennis di questi anni, dovete sapere, c'è un quartetto di prodigi che ha dominato e sta dominando quasi incontrastato. Loro vengono chiamati i Fab Four per risultati, bravura e l'incredibile immaginario che si lasceranno alle spalle una volta appesa la racchetta la chiodo, e sono: Federer, Nadal, Djokovic e Murray. Nomi simbolo di una supremazia che è sempre parsa indiscutibile, almeno fino all'arrivo del potente Del Potro, quinto membro per diritto e surclassato troppo spesso da nient'altro che un'immancabile... iella!
Sì perché con una quarta posizione mondiale nel 2010, Palito se la giocava alla grande facendo tremare e cadere più volte i quattro intoccabili. Suoi nove tornei atp 250 e otto atp 500. Suo, soprattutto, l'incredibile US Open del 2009, un torneo duro da morire con una finale vinta al cospetto di sua maestà Roger Federer. E poi il bronzo olimpico a Londra 2012, le ATP World Tour Finals e... gli infortuni, ancora, e ancora, e ancora. L'argentino se la giocava, dicevo, perché dal 2014, dopo l'ennesima operazione al polso, i dubbi su un suo rientro competitivo, visti gli altri falliti, erano molti e ben riposti. Eppure...
Del Potro lotta e riparte a inizio di quest'anno. Torna in campo dopo duri allenamenti iniziati ancor prima di riprendere la racchetta in mano. Deve cambiare alcune cose però, dei movimenti nei colpi che si porta dietro da una vita, snaturando il suo rovescio soprattutto, uno dei fondamentali, e imparandolo di nuovo per non sollecitare quel polso martoriato. Negli occhi ha quei quattro diavoli che intanto han macinano vittorie su vittorie senza che lui potesse dir niente. Rientra in campo dalla posizione 1045 del ranking, e comincia la scalata.
A Delray Beach, torneo minore, supera tre turni arrivando in semifinale, sconfitto dal futuro campione. A Indian Wells, Miami, e Madrid esce invece molto presto, ma per mano di giocatori tra le prime dieci posizioni. Ci vuole pazienza per riabituarsi e Del Potro non ha fretta. Non partecipa agli Internazionali d'Italia né al Roland Garros, si da tempo. Lo si rivede sui campi in erba e a Wimbledon, dove si da uno scossone sconfiggendo lo svizzero Stan Wawrinka, il solo che come lui ha saputo intaccare il quartetto delle meraviglie. E infine, arriviamo a oggi: le Olimpiadi di Rio.
Probabilmente ci arriva con determinazione ma senza farsi troppi castelli in aria. Al primo turno, poi, trova l'invincibile numero uno del mondo: Novak Djokovic. Accetta quindi la sfida con umiltà, conscio che dovrà dare il meglio di sé per tentare l'impresa, e lotta come un leone finendo poi in lacrime vittorioso, sovvertendo ogni pronostico. E' il primo grande risultato dopo anni di inferno, e lui lo sa, e decide allora di regalarsi di più, di volerci credere davvero.
Supera secondo e terzo turno non senza qualche grana, domina i quarti di finale e poi, in semifinale, trova un altro di quei leggendari Fab Four: lo spagnolo Nadal. Sono tre set lottati, il tifo è quello di uno stadio di calcio, Del Potro se la gioca al tie break finale contro quello che fino a pochi mesi prima vedeva soltanto in tv. E lo sconfigge. E' finale, bacia il suo pubblico, si stende a terra esausto dopo tre ore di gioco, sa che si è guadagnato sicuramente una medaglia d'argento e potrà addirittura combattere ancora. Il sogno è l'oro olimpico.
Di fronte a Andy Murray, numero 2 del mondo e campione olimpico in carica, si inscena una maratona di 4 ore, con scambi interminabili, break e contro break e un pubblico che va fin da subito in visibilio. Del Potro da fondo a tutto ciò che ha, ma il vincitore di Wimbledon è il favorito e alla fine dimostra il suo miglior momento di forma. Esausti e stremati, i due si abbandonano a un lungo abbraccio sotto rete riconoscendosi a vicenda il merito di una partita enorme.
Di fronte a Andy Murray, numero 2 del mondo e campione olimpico in carica, si inscena una maratona di 4 ore, con scambi interminabili, break e contro break e un pubblico che va fin da subito in visibilio. Del Potro da fondo a tutto ciò che ha, ma il vincitore di Wimbledon è il favorito e alla fine dimostra il suo miglior momento di forma. Esausti e stremati, i due si abbandonano a un lungo abbraccio sotto rete riconoscendosi a vicenda il merito di una partita enorme.
"Sono stravolto dalla stanchezza e lo ero anche in campo. Ma ho continuato a combattere fino alla fine per la gente che mi incitava. Con il cuore e l'anima. Per una settimana molto migliore di quel che io e chiunque avesse potuto immaginare." dirà Palito al termine, con la sua medaglia a coronare il gran ritorno nell'olimpo del tennis. Un rientro che tutti speriamo sia prospero di soddisfazioni, per un campione che fin qui forse non ha ancora raccolto quanto merita.
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