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18/09/17

I Social Media incitano all'odio?

Sarahah è un "nuovo social" che permette di lasciare commenti a qualcuno in modo totalmente anonimo. Ricorda un po' Ask.fm nel funzionamento e con lui condivide la spiacevole comparsa di episodi legati al cyberbullismo. 
Qualche settimana fa, in merito a questa tematica, mi sono imbattuto nello status del blogger Simone Bennati lasciato sul suo profilo LinkedIn. Ve ne incollo un pezzo:

Ogni volta che sento dire che la causa di fenomeni come il cyberbullismo e l'incitamento all'odio sono i Social Media, cerco sempre di riportare il discorso ad una dimensione più "essenziale".

I Social Media, così come le automobili, i tagliaerba o i coltelli da cucina sono solo degli sturmenti, i quali non hanno alcun potere decisionale, né un proprio spirito di iniziativa.

Se quindi, qualcuno utilizza uno di questi "aggeggi" con l'obiettivo di ledere il prossimo, la responsabilità è soltanto sua, non certo dello strumento che ha scelto. [...]

Un punto di vista sicuramente condivisibile ma che, anche già a primo impatto, mi ha lasciato una strana sensazione rispetto all'esperienza diretta che ho (e abbiamo) dei social, soprattutto perché...

22/06/17

Perché gli idioti diventano virali?

"Ed ora puoi tornare ad essere te stesso anziché un personaggio bidimensionale con una stupida frase fatta" [Lisa Simpson - ep. Bart diventa famoso]

Ringraziamo Filippo Ferraro per lo spunto simpsoniano


Questa frase veniva pronunciata quando il tormentone Non sono stato io! aveva smesso di piacere alla gente. 

Ricordate l'episodio? Bart, dopo aver distrutto la scenografia di uno spettacolo, davanti agli spettatori esclamava d'impulso:" Non sono stato io!"
Ecco allora scattare, senza alcun motivo in particolare, l'improvvisa ilarità dei presenti, che da quel momento avrebbero reso una celebrità sia lui che il suo sketch.

Ma perché ho iniziato questo post citandovi Lisa Simpson?
Perché alcune settimane fa mi sono imbattuto in un video che ha ottenuto milioni di visualizzazioni e interazioni. Un filmato senza alcunché di notevole che ha portato il suo giovane autore a diventare una vera e propria star, con tanto di videoclip musicali e invitate in discoteca.
Questo qui:

16/05/17

Il problema della scelta e l'esperimento della marmellata

Tra le varie avventure della mia fin'ora breve esperienza lavorativa sono stato anche un commesso per una catena di negozi sportivi. Ricordo che durante il training, uno dei primi consigli su come relazionarmi al cliente fu più o meno questo: 

"Se devi offrire un'alternativa di scelta, dagliela sempre tra due prodotti e al massimo ne inserisci un terzo. Mai di più, o sarà confuso e non comprerà niente."

Pensai fosse un'indicazione molto pratica e finalizzata al risultato, ma non sapevo che effettivamente si fondava su un paio di principi fondamentali e tra loro "contraddittori":


  1. Troppe alternative paralizzano la nostra capacità di scelta
  2. Più possibilità di scelta ci sono, più cresce la sensazione di avere il controllo

Facciamo un esempio pratico. 
Immaginatevi al supermercato davanti al nuovissimo reparto dei cereali. Se ci fossero soltanto tre confezioni vi sentireste poco liberi di decidere della vostra colazione. Fortunatamente, qui ce ne sono ben trenta a portata di mano e la sensazione di controllo vi fa tirare un sospiro di sollievo. Molto bene, pensate, ma ora cosa scegliete di acquistare?

30/03/17

Odio a prima vista

Io odio la gente.
Sul serio.
A volte ad esempio provo un disgusto viscerale per quei SottùttoIo che manco Hermione Granger al primo anno di Hogwarts. 
Prime donne bardate di charme capaci di portarvi sul carrozzone dei vincitori, salvo poi finire tutti insieme giù per un fosso. Insopportabili.
E poi vabé, ci sono un sacco di altre categorie di persone che mal sopporto, ma state tranquilli, che l'idea per questo articolo non è di sicuro fare la hit parade del mio disagio mentale. Arriviamo al sodo dunque.

16/03/17

Leggere un blog? Richiede troppo tempo

Oggi parliamo del legame tra social, blog, scrittura e lettura
Mmm sento già lo sfrigolio dei gomiti che cedono, intenti a sorreggervi la testa addormentata...
L'idea mi è arrivata da un paio di articoli letti in questi giorni. 

Il primo, pubblicato su PambiancoNews, parla di come si sia evoluto, negli ultimi anni, lo stile delle blogger più famose d'Italia, evidenziando quanto testi e aggiornamenti, nei loro siti, siano lentamente spariti, in favore di contenuti visivi e interventi massicci (e più brevi) sui social.
Il secondo, postato ieri sul blog Silverfish Imperetrix, focalizza invece l'attenzione sul pubblico, catturato dalla velocità folle del web e poco propenso a soffermarsi in letture che gli rubino più di 10 secondi di vita.
Due angolazioni per vedere il medesimo problema.

Che poi... qual è il problema?
Dove sta l'elemento fastidioso, antipatico, pericoloso, in questo quadro?

20/02/17

Fare un "Inception"? Più facile del previsto

Nel film Inception l'eroico Di Caprio deve scendere nel sogno del sogno del sogno per riuscire a impiantare una semplice idea nella testa di un povero pollo. Oddio... pollo è un parolone dato che il suo inconscio è armato di bazooka ma ok ok, non è questo il punto! 

La realtà è che, secondo la ricerca, impiantare idee, o meglio ancora falsi ricordi, è piuttosto semplice e molto spesso lo facciamo anche da soli.
Roba che a saperlo prima Leo si sarebbe risparmiato il rischio di rimanere un vegetale a causa di una moglie psicopatica.

06/02/17

Leggendo questo post la vostra mente divagherà per il 30% del tempo

Non so se capita anche a voi, ma spesso mi ritrovo nella via di casa e penso, con una buona dose di sconcerto:
"Ma chi cavolo ha guidato fin qui?!"

E' come un'improvvisa presa di consapevolezza, un risvegliarsi da fantasie ad occhi aperti che tutto avevano a che fare tranne che con la guida. E a quel punto ci si domanda:
Chi si è fermato al semaforo? Chi ha rispettato le precedenze alle rotonde? Chi era alla guida se io sono arrivato nella mia testa soltanto adesso? Boh, ma intanto paga la multa!

Leggendo un interessante manuale di graphic design, in cui sono riportati moltissimi studi sui modi in cui le persone pensano e agiscono, mi sono imbattuto nel termine Mind Wandering, che descrive esattamente questo fenomeno.

01/06/16

L'indifferenza che ti uccide

Forse avrete sentito in questi giorni della storia di Sara, la ragazza bruciata viva dal suo ex fidanzato, quella che oggi potrebbe essere ancora qui se gli automobilisti a cui aveva chiesto aiuto si fossero fermati o avessero anche solo chiamato il 113. Probabilmente avrete anche letto (e magari dato dei giudizi) proprio di questi ultimi, che comportandosi come degli ignavi o persino degli assassini, si sono fatti bellamente i fatti propri lasciandola sola. 
Ma quante altre volte sono accaduti fatti simili? Possibile che la società in cui siamo abbia creato dei mostri incapaci di agire persino in situazioni tanto gravi?

Il molto discuterne mi ha fatto tornare alla mente alcuni studi fatti durante le lezioni di psicologia sociale, in particolare di quando si era trattato dell'enorme potere che hanno su di noi le situazioni, capaci di innescare in persone perfettamente sane ed equilibrate comportamenti violenti al limite dell'assurdo, ma anche inazione, incapacità di agire di fronte a casi come quello di Sara.
E' chiaro che davanti a esempi tanto inumani sia facile stupirsi e dare giudizi che cercano di svelare il perché di tali comportamenti. C'è anche però chi non si accontenta e vuole vederci chiaro, e tra questi, per esempio, i due psicologi sociali di cui sto per raccontarvi, tali John Darley e Bibb Latané, che già nel 1968 simularono in laboratorio situazioni analoghe.

Scelsero alcuni ragazzi che presso il dipartimento di Psicologia della New York University si sottoposero al test. Dopo aver compilato alcuni questionari, ognuno di loro fu condotto in una stanza differente e collegato a cuffie e microfono. In realtà, sotto osservazione da parte degli scienziati, vi era soltanto una tra tutti i soggetti: Sabina, poiché gli altri prestavano parte a una messa in scena ben costruita e concordata con gli sperimentatori.
Il gioco consisteva nel parlare a turno raccontando dei propri problemi legati al mondo universitario. Tra queste persone, una era designata come vittima, e infatti, dopo il secondo giro di ascolto/racconto, Sabina la sente lamentarsi sempre più intensamente, esprimendo dapprima disagio, e poi vero e proprio malessere, accompagnandosi da imploranti richieste d'aiuto. E' in pericolo di vita.
Il test è per Sabina. Gli altri, ovviamente, non prestano alcun soccorso. E lei però mostra chiaramente un disagio. Si tormenta le cuffie, muove il microfono, si guarda attorno, suda, ha le palpitazioni, si alza dalla sedia, si risiede. Alla fine, però, non interviene.

02/04/15

L'esperimento carcerario di Stanford: le ragioni del male.

Durante una serie di lezioni del corso psicologia sociale mi sono imbattuto nell'esperimento carcerario di Stanford. Ne avete mai sentito parlare? Beh, nel caso ve ne parlo un po' io, perché è qualcosa di tanto affascinante quanto agghiacciante, e volevo suggerirvi, proprio agganciandomi a questo studio, la visione del film The Experiment, e magari anche la lettura del saggio La psicologia del male, che tra le sue pagine lo prende in esame.
Ma partiamo dall'inizio, o meglio, dalla fine... 

Nel 2003 scoppia lo scandalo della prigione di Abu Ghraib, situata a una trentina di chilometri da Baghdad. I media ci bombardano di immagini che ritraggono militari statunitensi intenti a torturare e seviziare prigionieri iracheni, ridendo e godendosela di brutto. E' uno scandalo perché quelle immagini, e vi basterà fare una ricerca rapida rapida su google, fanno davvero schifo.
Le accuse più pesanti gravano sul sergente Ivan Frederick, il più alto in grado tra i militari imputati, e l'opinione pubblica non è nemmeno pienamente felice nel saperlo condannato a soli otto anni per quelle azioni riprovevoli, perché le mele marce del sistema vanno gettate, il male c'è e va punito.

Il male.
Ad esaminare la vicenda di Abu Ghraib è chiamato anche il famoso psicologico sociale Phil Zimbardo, che ben conscio del fatto che il male, in sé, non esista affatto, riporta alla memoria un suo vecchio esperimento: quello del carcere di Stanford.
Era il 1971, e su sessantacinque studenti che avevano risposto a un annuncio che cercava volontari per uno studio sulla vita in prigione, Zimbardo ne scelse 18, cioè quelli privi di precedenti penali e col migliore stato psicofisico, assicurandosi che nessuno tra i partecipanti si conoscesse. Questi vennero divisi per sorteggio in due gruppi da 9 (si fece però attenzione che fossero psicologicamente simili), a cui furono assegnati altrettanti ruoli: quello delle guardie e quello dei prigionieri.
Lo studio prevedeva un isolamento totale in carcere simulato della durata complessiva di undici giorni. Le guardie, a gruppi di tre, avrebbero sostenuto turni di 8 ore, dopo le quali sarebbero tornate a vivere la loro giornata, proprio come in un vero lavoro. I detenuti invece dovevano rimanere imprigionati per tutta la durata dell'esperimento.